MAPPA DELLE PIETRE
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Pietre d'inciampo

LE PIETRE, I NOMI, LE PERSONE
In questa sezione è possibile visualizzare la geolocalizzazione delle pietre d'inciampo di Torino e consultare le biografie corrispondenti.
ELENCO POSE IN TORINO
Di seguito sono i nomi delle vittime in ordine alfabetico. Cliccando sul nome si apre la scheda con la biografia.

Filippo Acciarini nacque il 5 marzo 1888 a Sellano (PG) da Francesco e Anna Nocelli. Sposato con Teresa Griva, abitò in via Carlo Alberto 22 a Torino.

Aderì giovanissimo al movimento socialista, andando incontro a difficoltà lavorative che gli imposero cambi di città e di mestiere fino a quando, ferroviere, venne trasferito a Torino, che da quel momento fu la sua città. Negli anni Venti, cominciò a collaborare con il settimanale “Il grido del popolo” e con il quotidiano socialista l'”Avanti!”. Come giornalista documentò la “strage di Torino” del 18 dicembre 1922, alla quale pure scampò fortunosamente. Durante il ventennio di dittatura fascista continuò l'attività politica clandestina, che gli valse molte discriminazioni lavorative, molti rischi e un processo davanti al Tribunale speciale per la difesa dello Stato. Dopo l’8 settembre 1943 si applicò all’attività antifascista con rinnovata energia, occupandosi – tra l’altro – dell’edizione torinese dell’”Avanti!” clandestino. Collaborò attivamente alla riuscita degli scioperi del marzo 1944, e anche per questo venne individuato e arrestato a Torino. Venne poi deportato nel campo di concentramento di Mauthausen con un convoglio che arrivò tra il 24 e il 27 giugno 1944. Venne immatricolato con il numero 76202, classificato sotto la categoria “Schutz” (prigioniero per motivi politici) e dichiarò la professione di giornalista. Venne in seguito trasferito in sottocampi di Mauthausen: prima Grossraming, poi St. Valentin, quindi nuovamente Mauthausen. Filippo morì il 2 marzo 1945 nel campo di Mauthausen.

Aldo Giuseppe Acquarone nacque a Torino il 30 settembre 1915 da Francesco Acquarone e Giacinta Fantini. Aveva una sorella maggiore, Ada ed un fratello minore, Carlo. Abitava, al tempo dell’arresto, in via Ettore Muti, attualmente via Carlo Alberto 7.
In possesso di licenza elementare Acquarone svolgeva il mestiere di aiutante pasticciere. Aderì ai Fasci Giovanili di Combattimento il 14 gennaio 1935 mentre risulta iscritto al Partito Nazionale Fascista dal 24 maggio 1937 con tessera n° 1440978. In seguito ad un incidente sul lavoro perse due dita e la menomazione significò per lui l’esenzione dall’attività militare ed il licenziamento dal lavoro di pasticciere; venne successivamente assunto alla FIAT SPA (ex Società Piemontese Ansaldi-Ceirano) con la qualifica di magazziniere.
Risulta aver fatto parte di una formazione clandestina che successivamente sarebbe divenuta IVa Squadra di Azione Patriottica “Evasio Godi”, attiva nel 1° settore della città di Torino. Secondo la Commissione Regionale piemontese per l’accertamento delle qualifiche partigiane appartenne alla IVa brigata SAP dal 16 gennaio 1944 con il nome di battaglia “Mirko”.
La partecipazione agli scioperi significò un caro prezzo da pagare per gli operai coinvolti, definiti “elementi turbatori dell’ordine pubblico ”; tra loro Acquarone che venne arrestato la sera del 4 marzo 1944 per motivi di pubblica sicurezza ed avviato alle Carceri Nuove. Il giorno 6 marzo 1944 venne consegnato al comando germanico per essere inviato successivamente a Fossoli, dove giunse probabilmente il 7 marzo 1944.
Viaggiò sul trasporto n. 32 secondo la numerazione indicata da Italo Tibaldi nel libro Compagni di viaggio. Dall’Italia ai lager nazisti. I “trasporti” dei deportati 1943-45, partito da Firenze il giorno 8 marzo 1944 con destinazione Mauthausen, dove arrivò l’11 marzo 1944. Durante il viaggio altri deportati, tra cui lo stesso Acquarone, vennero aggiunti al convoglio nelle soste a Fossoli e a Verona . Per il traporto 32 sono stati identificati tutti i 597 deportati, i cui numeri di matricola sono compresi tra il 56.885 e il 57.481 . Dei 100 provenienti da Torino 78 risultano essere operai Fiat . Acquarone venne classificato come Schutz (Schutzhäftling, “prigioniero in base alla normativa sulla custodia preventiva ”) e prese il numero di matricola 56.888 dichiarando il mestiere di magazziniere.
Trasferito per un certo periodo a Kalk-Ebensee, risulta deceduto in camera a gas nell’Erholungsheim-Hartheim (Comune di Alkoven, distretto di Eferding) il giorno 1° dicembre 1944.
La famiglia Acquarone venne raggiunta a Masio (AL) dalla notizia della morte di Aldo tramite un documento datato 9 gennaio 1945 che comunicava il decesso del congiunto come conseguenza di un’incursione aerea nemica.

Francesco Aime nacque il 27 gennaio 1922 a Torino da Massimo e Caterina Colombo. Studiò fino alla V elementare e in seguito apprese il mestiere di meccanico. La sua residenza in città era in corso Italo Balbo 196, attuale corso Casale. Il 21 ottobre del 1943 presentò domanda per arruolarsi nel corpo dei Vigili del fuoco di Torino con la qualifica di autista in quanto in possesso della patente di guida di I e II grado per gli autoveicoli a nafta e benzina; il 28 dello stesso mese prese servizio come Vigile Volontario Provvisorio.
Nel febbraio del 1944 Aime decise di aderire alla Resistenza, prese la strada della montagna, e con il nome di battaglia “Francesco” militò come partigiano garibaldino nell’XI Brigata, II Divisione. Altri suoi colleghi vigili del fuoco, invece, fecero scelte differenti, entrando a far parte della 23° Brigata Celere “Pensiero Stringa”, una S.A.P. organizzata all’interno del comando dei Vigili del Fuoco di Torino, dedita ad azioni e sabotaggi in città e in provincia, nei confronti dei reparti tedeschi.
Purtroppo la sua esperienza partigiana non durò a lungo in quanto la sua cattura avvenne nel marzo del 1944: da quel momento fu smobilitato dal Comando dei vigili del Fuoco.
Si credette per lungo tempo che la morte di Aime fosse avvenuta per fucilazione a seguito della cattura nel 1944, ma una lettera della madre del 1946 indirizzata al comando dei Vigili del Fuoco confutò questa versione. Dalla documentazione reperita risulta che Aime fu deportato con il Trasporto 34, secondo la numerazione data da Tibaldi, partito da Bergamo il 17 marzo con destinazione Mauthausen, dove giunse il 20, transitando per Verona, Tarvisio e Villach. Sul treno merci furono trasportati 563 prigionieri, di cui 245 provenienti da Torino – da dove erano partiti il giorno 13 –, 157 da Milano, 34 da Genova e Savona e i restanti 127 da varie zone della Lombardia.
A Francesco fu assegnato il numero di matricola 58658, fu classificato con la categoria Schutz (deportato politico) e dichiarò il mestiere di meccanico per auto. Nel corso della prigionia fu trasferito a Schwechat-Florisdorf, un sottocampo di Mauthausen. Aime finì nel Revier, l’infermeria del campo, dove morì il 15 maggio del 1945, dopo la liberazione del campo, avvenuta il 5 maggio.
La pietra d’inciampo a lui dedicata riporta la dicitura “Qui lavorava” ed è collocata davanti all’ex caserma del Comando dei Vigili del Fuoco in corso Regina Margherita 128.

Marisa Ancona, nata a Torino il primo marzo 1926, figlia di Gastone e Foà Anna, abitò a Torino in via Migliara 23. Frequentò la sezione A del Ginnasio del Liceo Classico Cavour, come risulta dal registro scolastico degli anni scolastici 1936-37 e 1937-38. L’emanazione delle leggi razziali nell’autunno del 1938 colpì anche Marisa che non poté iscriversi al primo anno di liceo; non si ha traccia della sua continuazione degli studi presso le classi istituite presso la scuola ebraica via Sant’Anselmo 7 o nell’Istituto di via Bidone 33 (Scuola Officina Serale). Marisa sfollò nel Canavese probabilmente a causa dei bombardamenti su Torino. Il suo ultimo nascondiglio conosciuto si trovava tra Vistrorio Canavese, dalle fonti provenienti dalla Comunità ebraica di Torino, e Succinto Canavese – fonte CDEC – dove fu arrestata insieme al padre Gastone e al fratello Achille, da soldati Italiani della RSI e condotta presso il carcere di Ivrea, dove fu detenuta per un periodo imprecisato. Da lì fu trasferita al campo di concentramento speciale di Fossoli (MO) dove rimase fino al 5 aprile quando fu deportata ad Auschwitz. Il convoglio partì dal campo di Fossoli, agganciando successivamente altri vagoni a Mantova e Verona per arrivare ad Auschwitz il 10 aprile. Tra i 611 deportati del convoglio 154 uomini superarono la selezione per il gas e furono ammessi al campo con i numeri di matricola da 179974 a 180127; le donne immatricolate furono 80 e ricevettero i numeri da 76776 a 76855: a Marisa fu assegnato un numero compreso tra le due cifre indicate. I reduci del trasporto furono 51. Achille – matricola 179981 – fu deportato insieme alla sorella e morì in luogo ignoto il 22 gennaio 1945. Il padre Gastone fu deportato da Fossoli ad Auschwitz il 16 maggio 1945 e morì in luogo ignoto il 14 settembre 1944. Prima della liberazione del campo di concentramento e sterminio di Auschwitz il 27 gennaio 1945, Marisa venne trasferita nel campo di concentramento di Bergen Belsen, nella bassa Sassonia, prendendo parte presumibilmente a una delle terribili marce di evacuazione, definite “marce della morte”, in quanto venne vista a Kodova, cittadina polacca che si trova nel tragitto tra Auschwitz e Bergen Belsen. Morì in data imprecisata dopo l’11 febbraio del 1945 nel campo di concentramento di Bergen Belsen, due mesi prima che il campo fosse liberato il 15 aprile 1945.

Cesare Arnoffi nacque il 19 ottobre 1900 a Torino in una famiglia di 10 fratelli. La sua ultima abitazione liberamente scelta fu in via Cibrario 104. Dalle fonti risulta la sua partecipazione al movimento resistenziale, dal 25 maggio del 1944, come partigiano garibaldino nella 19° Brigata della I Divisione. Fu arrestato il 17 gennaio 1945, trasportato al campo di Bolzano. Da qui fu trasferito, il I febbraio 1945, a Mauthausen, insieme al figlio Giovanni, dove arrivò il 4 febbraio 1945. Il convoglio trasportava circa 535 persone.
A Cesare fu attribuita la matricola 126019 e fu classificato come Schutz (prigioniero per motivi politici); dichiarò il mestiere di chimico. Morì il 17 aprile 1945 a Solvay - Ebensee, sottocampo di Mauthausen.

Giovanni Arnoffi nacque il 2 luglio 1927 a Torino, figlio di Cesare Arnoffi e abitò in via Cibrario 104 insieme al padre. Dopo l’armistizio, con il nome di battaglia “Nino” aderì al movimento di liberazione dal giugno del 1944, militando, come il padre, nella 19° Brigata della I Divisione Garibaldi e conseguendo il grado di Comandante di squadra. Fu arrestato nel 1944, presumibilmente a dicembre. Da uno dei luoghi di detenzione torinesi fu deportato al campo di Bolzano e da qui trasferito insieme al padre, il I febbraio 1945, a Mauthausen, dove arrivò il 4 febbraio 1945.
All’arrivo gli venne attribuita la matricola 126020 e fu classificato come Schutz (prigioniero per motivi politici); si dichiarò studente universitario. Morì il 5 maggio 1945 nel campo di Gusen, sottocampo di Mauthausen.

Giulio Massimo Bruno Arzilli nacque a Castagneto Carducci, in provincia di Livorno il 18 giugno 1903 da Stefano Arzilli e Annunziata Paperini. Sposato con Adonella Sarri, abitava in Via Saorgio 21 a Torino. Lavorava come operaio presso le Ferriere Piemontesi; di orientamento politico comunista, risultava schedato nel Casellario Politico Centrale.
Risulta aver prestato servizio militare nel Reggimento Roma in un momento antecedente all’8 settembre 1943. Aderì alla Resistenza e fece parte della 7a Brigata Squadra di Azione Patriottica a partire dal 14 settembre 1943 . Catturato a Torino tra il 4 e il 5 marzo 1944 nel contesto delle ritorsioni nazifasciste agli scioperi dei primi del mese, venne detenuto presso le Carceri Nuove e successivamente trasferito a Fossoli. Giulio Arzilli viaggiò sul trasporto 32, secondo la numerazione indicata da Italo Tibaldi nel libro Compagni di viaggio. Dall’Italia ai lager nazisti. I “trasporti” dei deportati 1943-45, partito da Firenze il giorno 8 marzo 1944 con destinazione Mauthausen, dove giunse l’11 dello stesso mese . Durante il viaggio altri deportati, tra cui lo stesso Arzilli, vennero aggiunti al convoglio durante il passaggio a Fossoli e a Verona . Per il traporto 32 risultano identificati tutti i 597 deportati, i cui numeri di matricola sono compresi tra il 56.885 e il 57.481. Dei 100 provenienti da Torino, 78 risultano essere operai Fiat. Giulio Arzilli venne classificato come Schutz (Schutzhäftling, “prigioniero in base alla normativa sulla custodia preventiva”) e gli fu assegnato il numero di matricola 56907; durante l’immatricolazione dichiarò il mestiere di operaio tessile . Venne trasferito a Ebensee, uno dei più importanti sottocampi di Mauthausen, dove morì il 29 aprile 1944 . Una lapide, recuperata presso gli stabilimenti ThyssenKrupp ed ora collocata nel cortile del Museo Diffuso della Resistenza, in Corso Valdocco 4A, lo ricorda insieme ad altri caduti delle Officine FIAT Ferriere. Numerose lapidi furono posizionate nelle aziende subito dopo la liberazione; alcune di esse, in seguito allo smantellamento degli impianti industriali, sono state ricollocate in luoghi pubblici.

Gelindo Augusti nacque il 24 giugno 1904 a Cavarzere (VE). Trasferitosi a Torino, si sposò con Bianca Blua, con la quale viveva in via Vicenza 23 a Torino.

Terenzio Magliano (anche lui poi deportato per motivi politici a Mauthausen) lo ricordò come un giocatore di calcio atletico e aitante. Gelindo lavorava presso il cotonificio Vallesusa di Torino Dora, e venne arrestato il 4 marzo e in seguito agli scioperi avvenuti tra il 1° e l’8 marzo 1944 a Torino e in buona parte dell’Italia settentrionale. Fu deportato insieme ad altre 596 persone con il trasporto n. 32 della numerazione Tibaldi, proveniente da Firenze. Giunse a Mauthausen l’11 marzo 1944, e lì venne registrato con il numero di matricola 56909 e classificato come "Schutz" (prigioniero per motivi politici). Dichiarò il mestiere di meccanico.

Trasferito nel sottocampo di Gusen e poi di nuovo a Mauthausen, Gelindo morì in una data incerta, compresa tra il 10 e il 16 marzo 1945.

 

 

Luigi Bachi era originario di Udine, dove nacque il 13 luglio 1875. I suoi genitori erano Emanuele Bachi e Teresa Richetti. Sposò Linda Zoppa. A Torino visse in Via Vigone 54. In seguito all’occupazione nazista e alla politica antisemita della Repubblica Sociale, fu vittima delle persecuzioni anti-ebraiche. Fu arrestato da italiani il 3 novembre 1944 a Torino. Come molti concittadini ebrei, fu detenuto al carcere Le Nuove. Fu poi deportato al campo di Bolzano e da qui trasferito al campo di Flossenburg il 14 dicembre 1944. Gli venne attribuita la matricola 40055. Morì nel campo di concentramento di Flossenburg il 30 gennaio 1945.

Ferdinando Bagatin nacque a Saint-Maurice sur Seine presso Parigi il 7 o l’8 settembre 1924 da Giacinto e Natalina Sogni, emigrati italiani in Francia. In seguito la sua famiglia si trasferì nuovamente in Italia, e Ferdinando abitava con i genitori e i fratelli in via San Domenico 1 a Torino.

Di professione apprendista, fu richiamato sotto le armi in aviazione e al momento dell’armistizio dell’8 settembre 1943 si trovava in caserma presso Asti. Lasciata la caserma, Ferdinando raggiunse a piedi la famiglia a Torino. Qualche giorno dopo, uscito di casa per raggiungere un caffè di piazza Palazzo di Città dove avrebbe dovuto incontrare degli amici e prendere contatti per entrare nella Resistenza, venne arrestato in una retata. Dopo una prima detenzione torinese, fu in breve tempo trasferito al campo di concentramento di Bolzano, e qui obbligato a servire nella contraerea tedesca. In seguito, il 14 dicembre 1944 venne deportato al campo di concentramento di Mauthausen, dove arrivò il 19 dello stesso mese. Al suo arrivo, venne immatricolato con il numero 113877. Dichiarò il mestiere di meccanico per auto e venne classificato come “Schutz” (prigioniero per motivi politici). Il 29 dicembre venne trasferito nel sottocampo di Gusen.

Ferdinando morì a Gusen il 17 aprile 1945.

Emanuele Balbo Bertone di Breme nacque a Chieri il 9 agosto 1886 da Raimondo e
Barbara Arborio Gattinara di Sartirana-Breme. Sposato con Amalia Marchetti, abitava con
la famiglia in via Stampatori 4 a Torino.
Militare di carriera, combatté nella guerra di Libia e nella prima guerra mondiale e venne
più volte decorato. Collocato a riposo col grado di colonnello nel 1940, venne richiamato
nello stesso anno e prese il comando della IV brigata costiera col grado di generale di
brigata. Nella primavera del 1943 venne trasferito al comando della difesa territoriale di
Firenze, dove, in seguito agli eventi dell’8 settembre 1943, fu catturato dai tedeschi il 19
settembre 1943 e deportato in Germania. Fu trattenuto come IMI (internato militare
italiano), mantenendo ferma la decisione di non aderire alla Repubblica sociale italiana,
scelta che gli avrebbe permesso di evitare le dure condizioni della prigionia e di rientrare in
Italia, nei .
Durante un trasferimento forzato di prigionieri da sottrarre all’avanzata sovietica,
Emanuele riuscì a scappare ma la sua fuga durò poco e venne presto catturato.
Riconsegnato ai tedeschi e troppo debilitato per continuare la marcia, venne ucciso il 28
gennaio 1945 presso Schelkow in Polonia.
Emanuele venne insignito della medaglia d’argento al valor militare.

Elena Basevi nacque a Torino il 29 agosto 1913 da Giuseppe e Fanny Ariani. Elena sposò Ernesto Maggio. In seguito all’occupazione nazista e alla politica antisemita della Repubblica Sociale, fu vittima delle persecuzioni anti-ebraiche e fu arrestata a Torino il 31 agosto del 1944. Come molti concittadini ebrei, fu detenuta presso le carceri Le Nuove e in seguito fu deportata al campo di Bolzano. Qui fu organizzato un convoglio (n. 96, secondo le indicazioni di Tibaldi) che partì il 24 ottobre 1944 con destinazione Auschwitz dove arrivò il 28 ottobre 1944. Non è noto quante persone trasportasse il convoglio ma ne sono state identificate 133, 18 delle quali risultarono superstiti alla liberazione. Si trattava del primo trasporto di deportati ebrei dal campo di Bolzano-Gries, dopo la chiusura di Fossoli, avvenuta il I agosto 1944.
Elena presumibilmente partecipò a una delle famigerate “marce della morte”, in quanto morì a Bergen Belsen il 15 marzo 1945.

Nicola Battista nacque l’11 settembre 1904 a Lucera in provincia di Foggia da Vincenzo Battista ed Elisa Marciano. Era sposato con Francesca Cornaglia dal 1927 e da lei aveva avuto due figli, Elisa Maria Battista (1930) e Vincenzo Battista (1932). Lavorava come manovale idraulico presso le Ferriere Fiat e abitava in via Bava 47.

Schedato nel Casellario Politico Centrale come comunista, venne assegnato al confino nel 1937 per attività e propaganda sovversiva; arrestato a Torino il 1° aprile dello stesso anno, alle ore 08:45 presso le Ferriere Fiat insieme ad altri per «attività comunista», venne liberato il 31 marzo 1942. Durante una delle tappe di confino, a Pisticci, fu condannato a tre mesi di arresto con la condizionale poiché rifiutatosi di lavorare. Entrò a far parte della 7^ Brigata Squadra di Azione Patriottica Edoardo De Angeli a partire dall’11 settembre 1943. Venne nuovamente arrestato e deportato nel marzo 1944.

Viaggiò con il trasporto n.34 secondo la numerazione fornita da Italo Tibaldi nel libro Compagni di viaggio. Dall’Italia ai lager nazisti. I “trasporti” dei deportati 1943-45; il convoglio partì da Bergamo il 16 marzo 1944 e giunse a Mauthausen il 20 dello stesso mese, seguendo il tragitto Verona, Tarvisio, Villach. Il totale dei deportati risultava di 563, tutti identificati; 245 deportati provenivano da Torino e 31 di essi erano operai Fiat, 157 arrivavano invece da Milano, 34 da Genova e Savona, i restanti 127 dal territorio lombardo. Nicola Battista venne classificato come Schutz (Schutzhäftling, “prigioniero in base alla normativa sulla custodia preventiva”) e gli fu assegnato il numero di matricola 58696; durante l’immatricolazione dichiarò il mestiere di operaio metallurgico. Venne trasferito a Gusen, un sottocampo di Mauthausen da questo distante circa 5 km.

Nicola Battista risulta deceduto il 3 novembre 1944 a Gusen. Una lapide, recuperata presso gli stabilimenti ThyssenKrupp ed ora collocata nel cortile del Museo Diffuso della Resistenza, in Corso Valdocco 4A, lo ricorda insieme ad altri caduti delle Officine FIAT Ferriere. Numerose lapidi furono posizionate nelle aziende subito dopo la liberazione; alcune di esse, in seguito allo smantellamento degli impianti industriali, sono state ricollocate in luoghi pubblici.

Giovanni Battista Giuseppe Maria Battisti nacque a Modena il 13 marzo del 1887 da Cesare Battisti e Cristina Leonida. Nel giugno del 1915 si trasferì a Torino. Marito di Maria Borgnia, con la quale si sposò il 18 marzo del 1923, ebbe due figli: Serafina (nata il 2 maggio del 1925) e Cesare (nato il 6 agosto 1927). Venne arrestato il 2 agosto 1927 insieme ai colleghi che con lui lavoravano come operai per la tipografia “Anesi” in cui si stampavano volantini del Partito Comunista Italiano. Nel Casellario Politico Centrale, venne classificato come comunista. Il 10 novembre del 1928 fu condannato dal Tribunale Speciale per la Difesa dello Stato a 1 anno e 3 mesi di reclusione e a 3 anni di vigilanza speciale con le accuse di complicità in istigazione alla guerra civile e propaganda sovversiva. Un anno dopo, nel novembre 1929, la sua condanna venne mutata in vigilanza speciale a seguito di una domanda di grazia. Quando venne arrestato, il 12 marzo 1944, lavorava come spedizioniere presso il giornale “La Stampa”. Il suo nome è tra quelli presenti nella lista di deportati che arrivò a Mauthausen il 20 marzo 1944 con il trasporto n. 34 secondo la numerazione data nel libro di Italo Tibaldi “Compagni di viaggio. Dall’Italia ai lager nazisti. I “trasporti” dei deportati 1943-45”. Sebbene il convoglio  si fosse formato a Bergamo e da lì partito il 17 marzo 1944, a bordo vi erano 245 deportati che provenivano da Torino da dove erano a loro volta partiti il 13 marzo. Il convoglio passò per Verona, Tarvisio e Villach con 566 deportati a bordo. Classificato come Schutz, il primo numero di matricola assegnatogli fu 58697. Durante la sua condizione di prigionia, venne spesso trasferito. Inizialmente condotto a Gusen, venne poi mandato a Mauthausen. Il 28 aprile del 1944 venne ricoverato nel Sanitaetslager di Mauthausen per poi morire alle 7.25 del 5 maggio del 1944. Tra le cause della sua morte, nei documenti, si fa riferimento a problemi di colite e ad una insufficienza circolatoria.

 

Arturo Beltrando nacque a Demonte in provincia di Cuneo il 5 dicembre del 1900. I suoi genitori si chiamavano Maurizio Beltrando e Maria Sterchel. Era fratello di Albino e Lucia Beltrando. Il 4 gennaio 1936 si trasferì a Torino da Parigi e andò ad abitare in Via Stampatori 5. Si sposò a Torino il 4 aprile del 1944 con Margherita Peirano. L’ultima professione dichiarata è quella di operaio in fabbrica. Partigiano e socialista, dall’8 settembre del 1943 entrò a far parte della SAP Matteotti insieme alla sorella Lucia. Vennero arrestati entrambi a Torino il 17 novembre del 1943 e incarcerati a Le Nuove, dove Arturo Beltrando rimase fino al 12 gennaio del 1944. Il 13 gennaio venne caricato sul trasporto n. 18 secondo la numerazione data da Tibaldi diretto a Mauthausen arrivandovi il giorno 14. ll treno sul quale aveva viaggiato fu il primo ad essere costituito dalle carceri Le Nuove di Torino, con partenza dalla Stazione Ferroviaria di Porta Nuova. Il numero totale dei deportati era 50. Caricati su un solo carro bestiame, arrivano direttamente a Mauthausen il giorno successivo. Al momento della registrazione, si dichiarò tornitore. Venne immatricolato con il numero 42776 e classificato come Pol. Successivamente fu trasferito al sottocampo di Passau II (Mauthausen) per poi essere condotto a Zschachwitz, sottocampo di Flossenbürg. Qui arrivò il 7 novembre. Venne immatricolato con il numero 35424 e classificato come Schultz. L’1 marzo del 1945 venne condotto a Flossenbürg per poi spostarsi nuovamente e raggiungere Bergen Belsen il 10 marzo. Qui gli venne assegnata la matricola 35424 e fu identificato, ancora una volta, come Schutz. Dopo la guerra, un medico torinese che insieme ad Arturo Beltrando aveva condiviso l’esperienza della deportazione, scrisse e inviò una lettera alla sorella Lucia rievocando i terribili mesi passati in prigionia insieme al fratello. La lettera, che oggi è conservata negli archivi della Fondazione Istituto torinese Antonio Gramsci a Torino, rappresenta una cruda e terribile testimonianza della vita dei prigionieri all’interno dei campi. Dalle parole del suo autore, Giovanni Aliberti, è possibile ripercorrere gli ultimi mesi di vita di Arturo che purtroppo fu vittima di terribili sofferenze. Arturo Beltrando morì a Bergen Belsen il 30 aprile del 1945, alcuni giorni dopo la liberazione del campo avvenuta il 14 aprile.

Giuseppe Benetton nacque a Padova il 10 marzo 1905 da Vittorio e Regina Bortolami. Sposato con Rosa Nardo, viveva con la moglie e la figlia Lia in via Pagno 9 a Torino.

Operaio alla Fiat presso le officine SPA, era membro della 4^ brigata SAP col nome di battaglia di “Padoan”. Per questo motivo venne arrestato nella notte del 17 febbraio 1944. Detenuto in un primo tempo presso Le Nuove di Torino, venne in seguito portato presso il comando germanico all’Albergo Nazionale e quindi trasferito al campo di Fossoli. Di qui venne deportato a Mauthausen l’11 marzo 1944. Arrivato il 17 marzo successivo, Giuseppe fu immatricolato col numero 56952 e classificato nella categoria “Schutz” (prigioniero per motivi politici). Dichiarò il mestiere di verniciatore. Venne in seguito trasferito nel sottocampo di Zement-Ebensee.

Giuseppe morì a Ebensee il 7 marzo 1945.

Giovanni Bini nacque a Gussola (CR) il 25 novembre 1883 da Salvatore e Clotilde Germiniasi. Sposato con Teodora Bollero, abitava con la famiglia in corso Spezia 55 a
Torino. Di professione verniciatore e in seguito assunto come netturbino presso il comune di Torino, era un attivo oppositore del fascismo iscritto in clandestinità al Partito Comunista a quei tempi fuori legge. Per il suo impegno politico venne arrestato il 12 marzo 1944 da italiani e detenuto in un primo tempo alle carceri Nuove di Torino. Il giorno dopo, il 13 marzo, venne consegnato al Comando tedesco di Torino, che ne decise la deportazione al campo di concentramento di Mauthausen, dove arrivò il 20 marzo 1944. Al suo arrivo venne immatricolato col numero 58720 nella categoria Schutz (prigioniero per ragioni politiche), e in seguito fu trasferito a Gusen, sottocampo di Mauthausen. Giovanni morì a Gusen il 7 febbraio 1945.

Giovanni Bricco nacque il 4 ottobre 1916 a Torino da Giacinto e Rosa Felisio. Dopo la V elementare apprese il mestiere di meccanico. La sua residenza in città era in via Carlo del Prete 61. Il 26 novembre 1943 presentò domanda per arruolarsi nel corpo dei Vigili del fuoco di Torino con la qualifica di autista; il I dicembre dello stesso anno entrò in servizio in qualità di Vigile Volontario Provvisorio.
Bricco decise di aderire alla Resistenza, organizzando militarmente i colleghi. Nel luglio del 1944 partecipò alla formazione della 23° Brigata Celere “Pensiero Stringa” (dal nome del vigile partigiano caduto in combattimento contro i nazifascisti), una S.A.P. organizzata all’interno del comando dei Vigili del Fuoco, dedita ad azioni e sabotaggi in città e in provincia nei confronti dei reparti tedeschi. L’ingegnere Sergio Bellone ne assunse il comando con la collaborazione del Commissario di guerra Bricco, che assunse il nome di battaglia “Roberto”. Nell’estate del 1944 lavorò intensamente per organizzare e potenziare la Brigata, che divenne in breve tempo una delle più combattive S.A.P. di Torino. Collaborò con grande energia alla riuscita di numerosi colpi e azioni militari, soprattutto nell’ottobre del 1944.
Il 24 ottobre 1944 Bricco venne arrestato dalle SS tedesche - aiutate da una spia fascista, processata e condannata nel dopoguerra - insieme a numerosi ufficiali della Brigata. Interrogato, minacciato, subì dei pestaggi ma non tradì i compagni. I quadri dirigenti della brigata vennero inviati nel campo di Bolzano: qualcuno riuscì a fuggire durante il trasporto mentre. Bricco, invece, sospettate le sue maggiori responsabilità nel comando, fu deportato a Mauthausen. Il convoglio – che trasportava 336 persone – partì da Bolzano il 14 dicembre e arrivò a destinazione il 19 dicembre. Gli fu attribuita la matricola 113917 e fu classificato come Schutz (prigioniero per motivi politici); dichiarò il mestiere di tornitore meccanico.
Ricoverato al Revier di Mauthausen, alla fine di aprile fu selezionato per la camera a gas. Si salvò per l’intervento del Comitato clandestino di resistenza e di Giuliano Pajetta: mediante uno scambio di nomi fu inserito in un gruppo di francesi destinati a uno scambio.
Giovanni Bricco sopravvisse alla prigionia ma le sue condizioni di salute erano molto compromesse, tanto da essere rimpatriato dalle truppe americane con una gravissima forma di deperimento organico che portò alla comparsa, alcuni anni più tardi, di una grave epatite cronica.
Rientrato in patria, il I settembre 1945 fu riassunto in servizio. Nel 1959 gli venne attribuita la Croce al Merito di Guerra. Il 14 agosto 1967 fu riconosciuto non idoneo al servizio nel corpo dei Vigili del Fuoco a causa dell’epatite che ne causò la morte nel 1968. La pietra d’inciampo a lui dedicata riporta la dicitura “Qui lavorava” ed è collocata davanti all’ex caserma del Comando dei Vigili del Fuoco in corso Regina Margherita 128.

Vittorio Casnati nacque a Buja (UD) il 17 agosto 1910 da Achille e Anna Pittini. Sposato con Elvira Martinetto, viveva con la famiglia in via Chiesa della Salute, 67 (attuale 73 della stessa via) a Torino.

Operaio presso le Ferriere Fiat e membro del 1° settore SAP, ebbe un ruolo nello sciopero del marzo 1944. Per questo motivo venne arrestato il 3 marzo 1944. Venne in seguito deportato l’11 marzo 1944 a Mauthausen, immatricolato col numero 57023 e classificato nella categoria “Schutz” (prigioniero per motivi politici). Dichiarò il mestiere di trafilatore. Venne in seguito trasferito a nel sottocampo di Gusen.

Vittorio morì a Gusen il 17 novembre 1944. Il suo nome è ricordato sulla lapide aziendale un tempo posta presso le Ferriere Fiat e ora conservata presso il Museo Diffuso della Resistenza di Torino.

Isacco Coehn nacque a Seresek, in Turchia, il 29 luglio 1890 da Simantow Cohen, agronomo macedone e Pearl Farhagi, aveva un fratello di nome Moises. La famiglia di Isacco si trasferì a Lecce tra il 1898 e il 1899 affinchè il padre potesse occuparsi dei suoi affari inerenti l’importazione di tabacco proveniente dai territori dell’Impero ottomano. Di origine ebraica, abitava in via San Pio V 28 ed era sposato con Anna Giublena.

Isacco Cohen venne arrestato a Torino il 17 maggio 1944 per opera di Renato Fracchia, criminale e delatore, il quale si rese responsabile della cattura e della deportazione di numerosi ebrei a scopo di lucro. Nel dopoguerra Fracchia subì diversi processi per le azioni svolte durante la guerra al servizio dei tedeschi; in un primo momento condannato a morte mediante fucilazione alla schiena la pena successivamente gli venne commutata con una detenzione carceraria. Nella sentenza pronunciata dalla Corte di Assise di Torino nel 1949 inerente al delatore si trova un passaggio relativo alla cattura di Isacco Cohen: «E anche qui la iniziativa del Fracchia è rivelata dall’essersi egli presentato come ebreo, col nome di Franco Miglian (come quelle adoperate con la famiglia Fano) incaricato di distribuire soccorsi agli ebrei poveri, dandone a sua volta mandato allo stesso Cohen, non potendo egli e il suo compagno occuparsene direttamente, consegnando, come promettevano, a lui una busta contenente i denari da distribuire; evidentemente era questo un altro mezzo di carpire il recapito degli ebrei da catturare».

Isacco Cohen venne detenuto nel carcere di Torino e successivamente trasferito nel campo di Fossoli, dal quale venne infine deportato tramite il convoglio n.14, secondo la numerazione indicata ne Il libro della memoria. Gli ebrei deportati dall’Italia (1943-1945) di Liliana Picciotto, partito da Verona il giorno 2 agosto 1944 e diretto ad Auschwitz, dove giunse il 6 dello stesso mese. Si trattò di un trasporto multiplo che aggregava deportati di varia provenienza: nella città veneta vennero aggiunti gruppi provenienti da Milano, Genova e Torino in attesa della deportazione. Il trasporto fu diviso lungo il tragitto in vari convogli che vennero indirizzati ad Auschwitz (6 agosto - convoglio n.14), Buchenwald il (4 agosto - convoglio n.15), Ravensbrück (5 agosto - convoglio n.16) e Bergen Belsen (5 agosto - convoglio n.17). Non è noto il numero totale dei deportati; sono stati identificati 333 nominativi, 244 dei quali relativi al convoglio diretto ad Auschwitz per il quale si contarono, dopo la guerra, 29 reduci. Il convoglio n.14, quello che coinvolse Isacco Cohen, era destinato a trasportare gli “ebrei a tutti gli effetti” e viaggiava sotto la sigla RSHA (Reichssicherheitshauptamt, ovvero Direzione generale per la Sicurezza del Reich). Nel trasporto giunto ad Auschwitz il 6 agosto si contano circa 300 persone; i numeri di matricola da B-5594 a B-5673 vennero assegnati a 80 ebrei italiani, da 83018 a 83040 a 23 ebree italiane, mentre i numeri da 190841 a 190844 riguardano 4 detenuti internati da Verona.

Isacco Cohen fu ucciso all’arrivo ad Auschwitz il 6 agosto 1944.

 

Noe' Clerino nacque il 10 gennaio 1890 a Carema, in provincia di Torino, da Pietro Clerino e Maria Clerino. Per un periodo di tempo emigra in Francia per poi rientrare stabilmente in Italia. Nel maggio del 1927 venne arrestato con l’accusa di aver diffuso volantini antifascisti. Dopo aver rischiato il confino, continuò a essere sottoposto a misure di vigilanza. Venne schedato nel Casellario Politico Centrale come comunista. Di mestiere muratore, si sposò con Amelia Gabetti il 19 dicembre del 1929. Nel gennaio del 1930 si trasferì definitivamente a Torino. La sua ultima residenza nota è Via del Carmine 24. Venne arrestato a Torino il 5 marzo 1944 per motivi di pubblica sicurezza. Condotto in carcere alle Nuove, il giorno successivo, il 6 marzo, fu deportato al campo di Fossoli dove probabilmente giunse il 7 marzo. Con il trasporto n. 32, secondo la numerazione data da Tibaldi, che l’8 marzo partì da Firenze e che fece sosta a Fossoli e Verona, Noe' giunse a Mauthausen l’11 marzo del 1944 dove venne classificato come Schutz. Dichiaratosi muratore, gli venne assegnato il numero di matricola 57065. Fu successivamente trasferito a Gusen (sottocampo di Mauthausen) mentre, il 28 aprile del 1944, fu nuovamente trasferito, questa volta, al Sanitaetslager. Risulta morto il 19 Settembre 1944 all’Erholungsheim di Hartheim (struttura dipendente da Mauthausen). Erholungsheim è anche noto come Castello di Hartheim. La struttura, vicina alla città di Linz, veniva comunemente chiamata “casa di svago”. Si trattava di un nome di copertura per nascondere quello che in realtà accadeva al suo interno. Qui venne infatti attuata l’operazione T4 che, già portata avanti dal 1939 dal Nazismo, attraverso l’utilizzo delle camere a gas, mirava all’eliminazione di determinate persone come invalidi, inabili al lavoro o, ancora,  malati di mente o malati con disturbi neurologici, le cosiddette “Ballast Existenzen” cioè “esistenze insignificanti”. Migliaia di persone andarono incontro alla morte mediante l’utilizzo della camera a gas. Il progetto di eutanasia giunse alla sua conclusione nel 1941. Tuttavia, le camere a gas del Castello di Hartheim continuarono ad essere utilizzate: nella struttura, infatti, furono inviati, secondo il programma 14f13, prigionieri che provenivano da Ravensbrück, Dachau, Mauthausen e i suoi sottocampi con l’obiettivo di ucciderli perché troppo deboli e inabili al lavoro. Lo smantellamento della struttura ebbe inizio tra la fine del 1944 e l’inizio del 1945.

 

Donato Colombo nacque a Trinità, in provincia di Cuneo, il 4 ottobre del 1863 da Davide Colombo e Lattes Vittoria. Di origine ebraica, con una carriera da avvocato alle spalle, era sposato con Emma Ottolenghi con la quale ebbe un’unica figlia che si chiamava Lia.  Donato Colombo viveva a Torino con la sua famiglia in Via Santa Teresa 24, in un edificio accanto Piazza Solferino e Via Pietro Micca che fu bombardato nel 1943 e che, gravemente danneggiato, venne in seguito abbattuto per essere sostituito con un grattacielo oggi noto come Torre Solferino o «casa alta». Ritenendo ormai troppo pericoloso continuare a vivere a Torino sia per paura di essere arrestati in quanto ebrei, sia per il costante pericolo dei bombardamenti, la famiglia decise di lasciare Torino con l’obiettivo di trovare una migliore e più sicura sistemazione. La figlia Lia, con l’aiuto di alcuni amici, riuscì a trovare una sistemazione a Milano dove visse con il falso nome di Giuseppina  Gilardoni. I suoi genitori, Emma Cottolenghi e Donato Colombo si rifugiarono, invece, a Sanremo. Sperando di non essere notati e di non destare alcun sospetto per il fatto che il cognome Colombo fosse molto comune in Liguria, decisero di alloggiare in un albergo che, secondo alcuni documenti ritrovati dai discendenti, sembrerebbe essere stato l’Albergo Paradiso. Tuttavia, per una sfortunata serie di eventi, i due coniugi ben presto si ritrovarono tra gli ebrei rastrellati a Sanremo alla fine del 1943, precisamente il 25 novembre. Donato Colombo  venne quindi arrestato da soldati tedeschi che lo condussero al carcere di Genova. Successivamente trasferito al carcere di Milano, il 6 dicembre venne prelevato da San Vittore e caricato su uno dei carri bestiame in partenza dalla Stazione Centrale di Milano, con destinazione Auschwitz. Si tratta del Trasporto n. 12 secondo la numerazione data da Picciotto, il cui convoglio venne formato a Milano e Verona. Si trattò della prima deportazione con destinazione Auschwitz. Qui giunse l’11 dicembre. Donato Colombo non sopravvisse e perché ucciso all’arrivo.

 

Alessandro Colombo, detto Sandro, nacque a Torino il 23 giugno del 1895, figlio di Giuseppe Colombo e Giustina Colonna. Il 13 settembre del 1932 Alessandro sposò Wanda Debora Foà, di 19 anni più giovane, presso il tempio israelitico di Torino. La famiglia possedeva un’attività di produzione di carta da imballaggi per dolciumi nello stabile di via Piazzi 3 a Torino. Il contratto di affitto era stato stipulato con il signor Luigi Panetto, proprietario del basso fabbricato interno al cortile, il I agosto 1936. Secondo il censimento effettuato dal Regime fascista nel 1938, la famiglia risiedeva in corso Orbassano 15 (oggi corso De Gasperi) a un isolato di distanza da via Piazzi 3. L’azienda per dolciumi continuò la sua attività nel 1939, come documentato dall’annuario industriale, con la sigla “C.S.- Fabbrica cartonaggi”.
La famiglia Colombo inoltre affittava un appartamento al terzo piano di via Piazzi 3 da altro residente nello stabile; presumibilmente si trasferirono in quest’ultima residenza per poter essere più vicini e di conseguenza avere un maggiore controllo sui locali della tipografia ed eventualmente essere pronti per intervenire in caso d’incendio, eventualità dovuta ai frequenti bombardamenti che colpirono la città.
Secondo quanto riporta la documentazione custodita dal CDEC Alessandro e la moglie Wanda, fuggirono a Forno Canavese, presumibilmente in un casolare della frazione Milani. Il 7 dicembre 1943 arrivò a Forno una colonna tedesca di 2000 uomini dopo che un aereo di ricognizione aveva avvistato i partigiani della banda “Monte Soglio”. Elena, invece, fu nascosta presso l’Istituto Charitas, un Asilo di Carità gratuita. Alessandro fu portato insieme a Wanda alle Carceri Nuove di Torino il 9 dicembre; successivamente furono trasferiti presso il carcere San Vittore di Milano. Il 30 gennaio 1944 furono caricati sul treno in partenza dalla Stazione Centrale di Milano con destinazione Auschwitz. Il convoglio si formò tra Milano e Verona, sotto la sigla RSHA. I deportati furono 605: di questi solamente 97 uomini superarono la selezione per il gas e furono immessi nel campo, mentre le donne immatricolate furono solamente 31; i bambini nati dopo il 1931 furono 36. Dei 605 deportati solo 20 poterono tornare a casa; tra questi è Liliana Segre, attualmente (2020) senatrice della Repubblica Italiana. Alessandro fu tra coloro che superarono la selezione e fu immatricolato con il numero 173417. Sandro resistette 10 mesi nel campo di concentramento e sterminio di Auschwitz, fino al 30 novembre del 1944, giorno in cui fu registrata la sua morte.

Elena Colombo nacque a Torino il 5 giugno del 1933, figlia di Alessandro e Wanda Debora Foà. Elena visse con la famiglia in corso Orbassano 15 e successivamente in via Piazzi 3 dove la famiglia aveva un’azienda d'imballaggi per dolciumi. Elena presumibilmente frequentò la scuola ebraica torinese in via Sant’Anselmo 7, avendo compiuto 6 anni nel giugno del 1939. Dalle testimonianze della famiglia Rondolino sappiamo che suonava e presumibilmente studiava il pianoforte insieme al cugino più grande di un anno, Gianni Rondolino.
Dopo la pubblicazione del decreto di Polizia n. 5 emanato il 30 novembre 1943 dalla RSI, che prevedeva che da quel momento “tutti gli ebrei dovevano essere inviati in campi di concentramento speciale”, prima di nascondersi a Forno Canavese, il papà Alessandro affidò la figlia all’Istituto Charitas, un Asilo di Carità gratuita, la cui prima sede era a due portoni di distanza dal suo appartamento alla Crocetta (corso Orbassano 15). L’Istituto era stato fondato nel 1909 e dal 1942, quando aveva cambiato sede, da corso Orbassano 21 spostandosi in corso Quintino Sella 79, lo dirigevano Luigi e Rita Vinay, presumibilmente valdesi.
Il 25 marzo del 1944 le SS fecero una retata – forse a seguito di delazione – all’Istituto Charitas, che da un anno ospitava anche i bambini e le suore di un asilo bombardato, prendendo Elena. Il 27 marzo fu trasportata presso il campo di transito di Fossoli (MO) dove rimase, sola, fino al 5 aprile. Quel giorno fu organizzato un convoglio (convoglio n. 9 secondo il Libro della Memoria di Liliana Picciotto) al quale furono agganciati altri vagoni a Mantova e Verona. Il trasporto partì il 5 aprile, viaggiando sotto la sigla RSHA, con destinazione Auschwitz, dove arrivò il 10 dello stesso mese. I deportati identificati furono 611; 154 uomini e 80 donne superarono all’arrivo la selezione per il gas. I bambini (nati dopo il 1931) identificati del convoglio furono 33. Solo 51 dei deportati del convoglio n. 19 sopravvissero. Elena, come quasi tutti i bambini, non superò la selezione all’arrivo e fu destinata alle camere a gas mentre suo papà Sandro si trovava forse a qualche centinaio di metri di distanza, oltre i reticolati.

Benvenuto Colombo nacque a Fossano il 5 agosto 1882 da Aronne e Diamanta Colombo. Sposato con Clara Segre, viveva con la famiglia al numero 15 di piazza Castello (l’attuale 161) a Torino.

Insieme al fratello Enrico possedeva il negozio di tessuti e abbigliamento “Alle province d’Italia” che avevano insieme fondato, e si trovava all’angolo tra via Garibaldi e piazza Castello; vi collaborava il figlio Mario. In seguito alle leggi razziali del 1938, con il divieto agli ebrei di possedere e gestire attività commerciali, la famiglia Colombo si trovò costretta ad affidare formalmente il negozio a un loro dipendente di fiducia, che cominciò a gestirlo per loro conto. In seguito, la famiglia abitò a Nizza fino al 1940, poi a Torino ed infine nelle Valli di Lanzo, dove sfollò per sfuggire ai bombardamenti. Dopo l’8 settembre 1943, con l’occupazione nazista dell’Italia del Centro-Nord cominciarono le deportazioni di ebrei dall’Italia verso i campi di sterminio in Polonia; Enrico, Benvenuto e Mario furono vittime del tradimento da parte del dipendente che gestiva il loro negozio. Scesi a Torino il 27 ottobre 1943 per quello che doveva essere un incontro di affari al caffè Zucca in via Roma, i Colombo vi furono arrestati dalle SS. Il dipendente fedifrago incassò la taglia di 5.000 lire per ogni ebreo e si appropriò del negozio, che saccheggiò. Dopo la detenzione prima alle Nuove di Torino quindi nelle carceri di Milano, Enrico, Benvenuto e Mario vennero deportati a Auschwitz il 6 dicembre 1943.

Benvenuto come suo fratello non superò la selezione iniziale e venne ucciso al suo arrivo a Auschwitz l’11 dicembre 1943.

Dopo la guerra, il dipendente fedifrago, processato, fu prosciolto per l’amnistia decretata per i reati degli anni di guerra.

Enrico Colombo nacque a Fossano il 5 gennaio 1880 da Aronne e Diamanta Colombo. Sposato con Eugenia Jona, viveva al numero 15 di piazza Castello (l’attuale 161) a Torino.

Insieme al fratello Benvenuto possedeva il negozio di tessuti e abbigliamento “Alle province d’Italia”, che avevano fondato all’angolo tra via Garibaldi e piazza Castello, e cui collaborava il nipote Mario. In seguito alle leggi razziali del 1938, con il divieto agli ebrei di possedere e gestire attività commerciali, la famiglia Colombo si trovò costretta ad affidare formalmente il negozio a un loro dipendente di fiducia, che cominciò a gestirlo per loro conto. In seguito la famiglia abitò a Nizza fino al 1940, poi a Torino ed infine nelle Valli di Lanzo, dove sfollò per sfuggire ai bombardamenti. Dopo l’8 settembre 1943, con l’occupazione nazista dell’Italia del Centro-Nord cominciarono le deportazioni di ebrei dall’Italia verso i campi di sterminio in Polonia; Enrico, Benvenuto e Mario furono vittime del tradimento da parte del dipendente che gestiva il loro negozio. Attirati a Torino il 27 ottobre 1943 per quello che doveva essere un incontro di affari al caffè Zucca in via Roma, i Colombo vi furono arrestati dalle SS. Il dipendente fedifrago incassò dai nazisti la taglia di 5.000 lire per ogni ebreo catturato e si appropriò del negozio, che saccheggiò. Dopo un periodo di detenzione prima alle Nuove di Torino quindi nelle carceri di Milano, Enrico, Benvenuto e Mario vennero deportati a Auschwitz il 6 dicembre 1943.

Enrico come suo fratello non superò la selezione iniziale e venne ucciso al suo arrivo a Auschwitz l’11 dicembre 1943.

Dopo la guerra, il dipendente fedifrago, processato, fu prosciolto per l’amnistia decretata per i reati degli anni di guerra.

Mario Colombo, nato a Torino il 5 aprile 1914 da Benvenuto e Clara Segre, abitava al numero 15 di piazza Castello (l’attuale 161) a Torino.

Collaborava col padre Benvenuto e lo zio Enrico, che avevano fondato e possedevano il negozio di tessuti e abbigliamento “Alle province d’Italia” che si trovava all’angolo tra via Garibaldi e piazza Castello. In seguito alle leggi razziali del 1938, con il divieto agli ebrei di possedere e gestire attività commerciali, la famiglia Colombo si trovò costretta ad affidare formalmente il negozio a un loro dipendente di fiducia, che cominciò a gestirlo per loro conto. In seguito, la famiglia abitò a Nizza fino al 1940, poi a Torino ed infine nelle Valli di Lanzo, dove sfollò per sfuggire ai bombardamenti. Dopo l’8 settembre 1943, con l’occupazione nazista dell’Italia del Centro-Nord cominciarono le deportazioni di ebrei dall’Italia verso i campi di sterminio in Polonia; Enrico, Benvenuto e Mario furono vittime del tradimento da parte del dipendente che gestiva il loro negozio. Attirati a Torino il 27 ottobre 1943 per quello che doveva essere un incontro di affari al caffè Zucca in via Roma, i Colombo vi furono arrestati dalle SS. Il dipendente fedifrago incassò dai nazisti la taglia di 5.000 lire per ogni ebreo catturato e si appropriò del negozio, che saccheggiò. Dopo la detenzione prima alle Nuove di Torino quindi nelle carceri di Milano, Enrico, Benvenuto e Mario vennero deportati a Auschwitz il 6 dicembre 1943. All’arrivo al campo l’11 dicembre, superò la selezione iniziale e fu immatricolato.

Mario morì in prigionia in un luogo ignoto il 30 marzo 1944.

Dopo la guerra, il dipendente fedifrago, processato, fu prosciolto per l’amnistia decretata per i reati degli anni di guerra.

Rinaldo Corio nacque a Torino il 19 settembre 1914 da Giovanni Battista e Monica Giuseppa Perotti. Sposato con Adelina Suita, abitava in via Aosta 29 a Torino.

Di professione operaio elettricista, dopo l’8 settembre 1943 si impegnò personalmente nella Resistenza con il nome di battaglia di “Rino”. Fin dal settembre 1943 entrò a far parte della brigata “Secondo Nebiolo” della 43^ divisione autonoma “Sergio De Vitis” con base in Val Sangone, nella quale operò come collegamento, informatore e comandante di squadra per le azioni in Torino. Venne arrestato a Torino il 18 dicembre 1944 e in seguito trasferito al campo di concentramento di Bolzano. Venne quindi deportato al campo di concentramento di Mauthausen il 1° febbraio 1945, e al suo arrivo, il 4 dello stesso mese, venne immatricolato col numero 126144. Dichiarò il mestiere di elettrotecnico e venne classificato come “Schutz” (prigioniero per motivi politici). Il 16 febbraio venne trasferito nel sottocampo di Gusen.

Rinaldo morì a Gusen il 18 o il 19 aprile 1945.

Arduino Cremisi nacque a Pisa il 25 novembre 1876 da Angiolo e Rachele Momigliano. Sposato con Camilla Sorzana, con la quale ebbe il figlio Giorgio Amedeo, abitava con la famiglia in via Legnano 28 a Torino.

Entrato a 20 anni nel Corpo forestale dello Stato, il suo servizio lo portò in varie zone d’Italia e specialmente a Torino, dove dal 1929 fu colonnello comandante della IV Legione forestale. Nel 1939, in applicazione delle leggi razziali, Arduino fu posto in congedo assoluto in quanto ebreo.

Per una delazione venne arrestato il 26 ottobre 1944. Detenuto in un primo tempo nel campo di Bolzano-Gries, il 14 dicembre 1944 fu deportato a Flossenbürg, dove arrivò il 20 dello stesso mese. Venne immatricolato col numero 40043.

Arduino morì a Flossenbürg il 14 gennaio 1945, vittima di un esperimento medico.

Il 14 gennaio 2015 il Corpo forestale dello Stato ha intitolato la caserma del Comando provinciale di Pisa a Arduino Cremisi.

Moisé Adolfo Cremisi nacque a Livorno il 25 aprile 1874 da Fortunato e da Ester Caffaz.
Sposato con Allegra Dias, abitava con la famiglia in via principe Tommaso 11 a Torino.
In quanto ebreo, oltre a dover sottostare alle leggi razziali del 1938, con l’occupazione
nazista dell’Italia seguita all’8 settembre 1943 si trovò a doversi nascondere per sfuggire
all’arresto e alla deportazione. Venne arrestato a Loppeglia in provincia di Lucca nel marzo
1944 e trasferito nel campo di Fossoli. Di qui venne deportato a Auschwitz il 16 maggio
1944.
Moise Adolfo venne ucciso al momento del suo arrivo a Auschwitz, il 23 maggio 1944.

Giacomo De Benedetti nacque a Acqui il 19 luglio 1900 da Vittorio e Olga Carpanetti. Sposato con Gabriella Trieste, abitava con la moglie e i figli in via Campana 24 a Torino.

Ingegnere, lavorava alla FAX, una fabbrica di armi fornitrice della Marina militare. Nonostante la sua condizione e le sue scelte (cattolico, volontario nel 1917, iscritto al Partito fascista dal 1925), Giacomo fu discriminato sul posto di lavoro per le sue origini ebraiche a causa delle leggi razziali del 1938. Dopo l’occupazione nazista seguita all’armistizio dell’8 settembre 1943, le condizioni precipitarono: fu arrestato il 20 dicembre 1943 da truppe italiane a causa di una delazione. Detenuto in un primo tempo alle Nuove di Torino, venne quindi trasferito alle carceri di Milano, e di qui il 30 gennaio 1944 deportato ad Auschwitz, dove fu immatricolato.

Giacomo morì nel campo di Janinagrube il 31 gennaio 1945.

Nella Della Rocca nacque a Livorno il 9 settembre 1887 da Vittorio Della Rocca e Adele Moresco. Di origine ebraica, professione commerciante, era sposata con Armando Sbrana e abitava in via Madama Cristina 18.

Venne arrestata a Torino lunedì 2 ottobre 1944 in seguito alla delazione della portinaia del palazzo dove abitava. Autori dell’arresto furono due appartenenti alle SS italiane; nonostante il mandato di cattura riguardasse la sola Nella Della Rocca i militari fermarono anche la figlia Gina Sbrana e il nipotino Giuseppe Laras, entrambi con lei nello stabile. Le due donne cercarono di corrompere i militari, chiedendo loro, una volta in strada, di lasciar fuggire il bambino. Le SS parvero accettare l’accordo, eppure giunti al punto prestabilito non manifestarono l’intenzione di liberare il piccolo Giuseppe Laras che riuscì comunque a divincolarsi e a fuggire per le vie della città. Nella Della Rocca venne detenuta nel carcere di Torino ed in seguito trasferita a Bolzano il 24 ottobre 1944.

Venne deportata da Bolzano-Gries il 14 dicembre 1944 dal convoglio n.19, secondo la numerazione fornita ne Il libro della memoria. Gli ebrei deportati dall’Italia (1943-1945) di Liliana Picciotto e giunse a Ravensbrück il 20 dello stesso mese. Nel libro di Italo Tibaldi, Compagni di viaggio. Dall’Italia ai lager nazisti. I “trasporti” dei deportati 1943-45, il trasporto viene indicato con il numero 112. Non si conosce il numero esatto dei deportati: risultano identificati in 31, dei quali 3 sopravvissuti al momento della liberazione.

Non si hanno notizie relative al numero di matricola assegnato a Nella Della Rocca; ella risulta deceduta a Ravensbrück il 30 dicembre 1944.

 

Livia (Lilly) nacque il 14 gennaio 1924 a Levice (Slovacchia) da famiglia ebraica, il padre era Rezsö Deutsch. Arrestata il 7 giugno 1944 a Levice, fu deportata con tutta la famiglia ad Auschwitz. Superò la selezione iniziale, a differenza degli altri membri della sua famiglia che furono sterminati all’arrivo. Nel campo fu registrata con la matricola 20150. Fu trasferita a Hessisch-Lichtenau, sottocampo di Buchenwald. Sopravvisse e nel dopoguerra sposò un internato militare italiano e visse a Torino in Via Garibaldi 53. Morì il 30 giugno 2005.

Giuseppe Davide Diena nacque a Carmagnola il 16 dicembre 1883 da Giacobbe e Anna Sacerdote. Sposato con Elettra Bruno, cattolica praticante, abitava con la moglie e i figli Giorgio e Paolo in via Mazzini 12 a Torino.

Laureato in medicina, nel 1909 fu tra i fondatori della Società Italiana di Gastroenterologia. Dopo la Prima guerra mondiale, alla quale partecipò come volontario, Giuseppe Davide aderì al movimento Democrazia Sociale, una formazione politica antifascista nata da una scissione del Partito radicale. Ottenuta nel 1928 la libera docenza all'Università di Torino, continuò a frequentare ambienti antifascisti e legati alla massoneria (era affiliato alla storica loggia torinese “Dante Alighieri”). Ebreo, nel 1938 fu colpito dalle leggi razziali: ebbe il permesso di continuare la sua professione solamente a favore di pazienti ebrei. Nel 1942 fu arrestato con uno dei figli, Giorgio, per detenzione di materiale di propaganda antitedesca; rilasciato dopo alcuni mesi, riprese la sua attività clandestina. Con l'occupazione nazista successiva all’8 settembre 1943, Giuseppe Davide si trasferì con la moglie a Cavoretto (sulla collina torinese) per tentare di sfuggire alle persecuzioni. Ciononostante, venne arrestato a Torino il 29 agosto 1944 da truppe tedesche durante l’operazione che portò all’arresto anche del domenicano Giuseppe Girotti. Detenuto alle Nuove di Torino, fu poi trasferito al campo di Bolzano, e di qui il 14 dicembre 1944 deportato a Flossenbürg, dove venne immatricolato col numero 40061.

Giuseppe Davide morì a Flossenbürg il 2 marzo 1945 a causa delle percosse subite.

Una lapide nell’androne del palazzo di via Mazzini 12 ricorda la morte del figlio Paolo, partigiano dal settembre 1943 nella Divisione autonoma Val Chisone, ucciso in combattimento l’11 ottobre 1944, e quella di Giuseppe Davide.

Luigi Fabbris nacque nella frazione Bottrighe di Adria (RO) il l° settembre 1886 da Ortensio e Maria Casellato. Sposato con Cesira Siviero, viveva con la famiglia in via Lauro Rossi, 43 a Torino.

Operaio della Snia Viscosa e membro della 22^ brigata SAP Martinelli, fu tra gli organizzatori degli scioperi del marzo 1944. Per questo motivo venne arrestato il 3 marzo 1944 da italiani e portato alla Casa Littoria (attuale Palazzo Campana) e quindi incarcerato nella caserma di via Asti. Fu deportato a Mauthausen con il trasporto partito il 13 marzo 1944 da Torino che arrivò a Mauthausen (via Bergamo) il 20 dello stesso mese. Venne in seguito trasferito nel sottocampo di Schwechat.

Luigi morì a Schwechat il 30 aprile 1944. Una lapide ricorda Luigi Fabbris in corso Romania a Torino, presso lo stabilimento Michelin (che subentrò nelle strutture della Snia Viscosa negli anni Cinquanta).

Teresio Fasciolo nacque a Torino il 9 ottobre 1925. Non conosciamo molto della sua breve vita, ma sappiamo che abitava in via Pagno 8 e che frequentava l’Istituto per elettrotecnici Amedeo Avogadro di corso San Maurizio 8 a Torino.

Dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, con la nascita della Repubblica Sociale Italiana, i bandi Graziani resero obbligatorio l’arruolamento delle classi dal 1923 al 1925. Teresio rientrava in una classe di leva richiamata, e nei mesi successivi fu costretto a una scelta. Nei primi giorni di marzo del 1944 abbandonò gli studi per unirsi ai partigiani della II Divisione Garibaldi operante nelle Valli di Lanzo. La sua esperienza nelle fila della Resistenza fu interrotta quando le SS e le forze repubblichine organizzarono un grande rastrellamento a partire dal 7 marzo 1944: in seguito ai combattimenti, Teresio fu arrestato e fu condotto alle carceri Nuove di Torino. Il giorno 13 marzo, caricato su un camion insieme ai compagni catturati e agli operai arrestati in seguito alla partecipazione agli sciopero della prima settimana di marzo, percorse corso Vittorio Emanuele II e giunse alla Stazione di Porta Nuova. Di qui, su un convoglio composto da vagoni merci, con i suoi compagni di deportazione giunse a Bergamo nel pomeriggio. Pochi giorni dopo, venne formato un nuovo convoglio, composto da 245 deportati provenienti da Torino, 157 da Milano, 34 da Genova e Savona e i restanti 127 da varie parti della Lombardia. Il treno partì da Bergamo tra il 16 e il 17 marzo del 1944, passò da Verona, Tarvisio, Villach per arrivare il 20 marzo a Mauthausen. Arrivato a destinazione, Teresio venne registrato con il numero di matricola 58855, venne classificato con la categoria Schutz (prigioniero per motivi politici) e dichiarò il mestiere di elettrotecnico. Non si hanno notizie sul periodo trascorso nei lager da Teresio, ma certamente condivise con i compagni la fame, gli stenti, le condizioni di vita disumane e le violenze. Fu in seguito trasferito a Gusen e successivamente a Schwechat-Floridsdorf, entambi sottocampi di Mauthausen dove i prigionieri venivano sfruttati come forza lavoro.

I suoi compagni, tra i quali Ferruccio Maruffi, ricordarono la morte del “giovanissimo ribelle delle Valli di Lanzo”: il suo decesso fu registrato il 30 maggio 1944 a Wien Schwechat, sottocampo di Mauthausen.

 

Donato Foa nacque a Casale Monferrato il 6 novembre 1876 da Abramo e Zeffora Luzzati. Sposato con Olga Levi, abitava con la famiglia in via Ormea 40 a Torino.

Ebreo, il 9 agosto 1944 venne arrestato a Canischio (TO). Detenuto in un primo tempo presso le carceri Nuove di Torino, fu poi trasferito al campo di Bolzano. Venne deportato ad Auschwitz con il trasporto partito da Bolzano il 24 ottobre 1944.

Donato non superò la selezione inziale e venne ucciso il giorno stesso del suo arrivo a Auschwitz, il 28 ottobre 1944.

Guido Foa nacque a Torino il 18 novembre 1920 da Donato e Olga Levi. Sposato con Elena Recanati, abitava con la famiglia in via Ormea 40 a Torino.

Ebreo, il 10 agosto 1944 venne arrestato a Canischio (TO). Detenuto in un primo tempo presso le carceri Nuove di Torino, fu poi trasferito al campo di Bolzano. Venne deportato ad Auschwitz con il trasporto partito da Bolzano il 24 ottobre 1944. Al suo arrivo al campo, il 28 ottobre 1944, superò la selezione inziale e venne immatricolato.

Non abbiamo notizie della vita di Guido nel campo, sappiamo solo che morì in un luogo sconosciuto dopo il 22 gennaio 1945.

Elena Recanati vedova Foa in Napolitano nacque a Torino il 12 marzo 1922 da Luigi e Luigia Simon. Sposata con Guido Foa, abitava con la famiglia in via Ormea 40 a Torino.

Ebrea, il 9 agosto 1944 venne arrestata a Canischio (TO). Detenuta in un primo tempo presso Cuorgné, quindi alle carceri Nuove di Torino, venne in seguito trasferita al campo di Bolzano. Fu deportata ad Auschwitz con il trasporto partito da Bolzano il 24 ottobre 1944. Al suo arrivo venne immatricolata col numero A-26692. In un momento sconosciuto, successivo alla sua immatricolazione e precedente la metà di gennaio 1945, venne trasferita verso Ovest.

Elena sopravvisse alla vita nei campi di concentramento, e venne liberata dal campo di concentramento di Ravensbrück il 30 aprile 1945.

Raffaele (Raffaello) Filippo Foa nacque a Torino il 20 dicembre 1860. Era figlio di Gabriele e Eleonora Reinach. Sposò Lidia Cetti.
Visse in Corso Vittorio Emanuele II, 40. In quanto ebreo, in seguito all’occupazione nazista e alle direttive emanate dalla Repubblica Sociale di Salò, venne arrestato dai tedeschi il 21 luglio 1944. Fu prelevato dalle mura della sua abitazione dopo una delazione compiuta da conoscenti italiani, come riporta la moglie Lidia in alcuni documenti. La donna e l’uomo furono anche accusati di favorire i partigiani.
Il suo convoglio partì da Verona il 2 agosto 1944. Giunto a Auschwitz, non superò la selezione: fu assassinato il giorno del suo arrivo, il 6 agosto 1944.

Pacifico Foa nacque a Cuneo il 26 dicembre 1905 da Ezechiele e Rachele De Benedetti. Sposato con Anna Siccardi, abitava in corso Fiume 16 a Torino.

Di professione era commesso viaggiatore. In quanto ebreo, con l’occupazione nazista dell’Italia seguita all’8 settembre 1943 si trovò a doversi nascondere per sfuggire all’arresto e alla deportazione. Venne arrestato a Torino il 22 luglio 1944 e trasferito in un primo tempo alle carceri di Milano. Venne quindi portato a Verona, da dove il 2 agosto 1944 venne deportato al campo di concentramento di Auschwitz, dove arrivò il 6 dello stesso mese.

Pacifico non superò la selezione iniziale, e venne ucciso il 6 agosto 1944 ad Auschwitz.

Wanda Debora Foà nacque a Torino il 24 gennaio 1914, figlia di Salomone Foà e Gemma Segre. Wanda si sposò il 13 settembre del 1932 con Alessandro Colombo presso il tempio israelitico di Torino. Nel giugno del 1933 diede alla luce Elena, la loro unica figlia. A quanto risulta dal censimento della popolazione ebraica effettuato nel 1938 dal Regime Fascista, la famiglia era residente in corso Orbassano 15 e possedeva un’attività commerciale (produzione di imballaggi di dolciumi) a poche decine di metri di distanza da via Piazzi 3, nel basso fabbricato all’interno del cortile. Wanda si trasferì insieme alla famiglia nell’alloggio che affittavano al terzo piano dello stabile di via Piazzi, presumibilmente intorno alla fine del 1943.
Dopo il 10 settembre del 1943 le condizioni di vita in città divennero molto pericolose con l’arrivo dei soldati tedeschi in città e soprattutto con l’emanazione della Circolare Buffarini Guidi del 30 novembre che prevedeva che gli ebrei venissero inviati in campi di concentramento speciali. Wanda e Alessandro decisero di sfollare a Forno Canavese ma prima di attuare il piano di fuga vollero nascondere la figlia Elena presso l’Istituto Charitas in corso Quintino Sella 79, gestito da Luigi e Rita Vinay.
I coniugi sfollarono nel Canavese trovando rifugio presumibilmente presso la frazione Milani di Forno Canavese. Sfortunatamente l’arrivo di una colonna tedesca di duemila soldati, giunti per rastrellare il territorio in cerca di partigiani, fece sì che i due venissero scovati ed arrestati l’8 dicembre 1943. Wanda e Alessandro furono trasferiti e rinchiusi presso le carceri Nuove di Torino il 9 dicembre e successivamente furono trasferiti a Milano presso il carcere San Vittore che fungeva da campo di concentramento provinciale.
Il 30 gennaio 1944 furono caricati sui carri piombati in partenza dalla Stazione Centrale di Milano con destinazione Auschwitz: il convoglio, formatosi tra Milano e Verona, viaggiava sotto la sigla RSHA. I deportati furono 605; di questi solamente 97 uomini superarono la selezione per il gas e furono immessi nel campo, mentre le donne immatricolate furono solamente 31; i bambini nati dopo il 1931 furono 36. Tra i 605 deportati solamente 20 furono i reduci che riuscirono a tornare a casa. Wanda Debora fu tra i 477 che non passarono la selezione e fu destinata direttamente alle camere a gas all’arrivo ad Auschwitz il 6 febbraio 1944.

Renato Forlino nacque a Torino il 31 luglio 1913 da Antonio e Giovanna Varvello. Sposato con Agostina Gariglio, viveva con la moglie e il figlio Aldo in via Spontini 26 a Torino.

Di professione operaio scrittore di insegne, aderì alla Resistenza e venne arrestato a Torino a causa probabilmente di una delazione. Venne deportato a Mauthausen il 20 marzo 1944 con il trasporto partito da Bergamo il 16 dello stesso mese (n. 34 Tibaldi). Lì fu immatricolato col numero 58867 e classificato nella categoria “Schutz” (prigioniero per motivi politici). Dichiarò il mestiere di pittore. Venne in seguito trasferito a nel sottocampo di Gusen II.

Renato venne liberato il 5 maggio 1945. Per le sue critiche condizioni fisiche, venne ricoverato nell’ospedale militare di Linz, in Austria, dove morì il 12 giugno 1945. Renato venne ricordato dai suoi compagni di prigionia sopravvissuti, tra cui citiamo Ferruccio Maruffi. La sua salma venne individuata nel cimitero dell’ospedale di Linz e, il 29 giugno 1973, ritornò in Patria e deposta al Cimiter Monumentale di Torino. dal 12 giugno 2015, dopo settant'anni esatti dal decesso, i suoi resti riposano all'Ossario Comune della Gran Croce.

Jacopo Franco nacque a Verona il 9 giugno 1884 da Salomone Massimo e Giulietta Tedeschi. Sposato con Gina Della Seta, abitava con la moglie in via Cosseria 1 a Torino.

Di famiglia ebraica, possedeva e gestiva con la moglie la vetreria Franco in corso Regina Margherita 27. Con l’entrata in vigore delle leggi razziali del 1938, che imponevano il divieto per gli ebrei di possedere attività imprenditoriali, i coniugi furono costretti a cedere la gestione e la proprietà a dipendenti di fiducia, che si occuparono del funzionamento della vetreria restituendola correttamente agli eredi dopo la fine della Seconda guerra mondiale. Jacopo si allontanò con la moglie da Torino per sfuggire alle persecuzioni, sfollando presso parenti in Toscana. Venne arrestato il 20 aprile 1944 a Chianni (PI) da italiani. Detenuto nel carcere di Firenze, venne quindi trasferito al campo di Fossoli, e di qui il 16 maggio 1944 deportato a Auschwitz.

Jacopo non superò la selezione iniziale e fu ucciso il giorno stesso del suo arrivo a Auschwitz, il 23 maggio 1944.

Gina Della Seta nacque a Castel Gandolfo (RM) il 3 settembre 1894 da Raimondo e Sara Pontecorvo. Sposata con Jacopo Franco, abitava con il marito in via Cosseria 1 a Torino.

Di famiglia ebraica, possedeva e gestiva con il marito la vetreria Franco in corso Regina Margherita 27. Con l’entrata in vigore delle leggi razziali del 1938, che imponevano il divieto per gli ebrei di possedere attività imprenditoriali, i coniugi furono costretti a cedere la gestione e la proprietà a dipendenti di fiducia, che si occuparono del funzionamento della vetreria restituendola correttamente agli eredi dopo la fine della Seconda guerra mondiale. Gina si allontanò da Torino con il marito per sfuggire alle persecuzioni, sfollando presso parenti in Toscana. Venne arrestata il 20 aprile 1944 a Chianni (PI) da italiani. Detenuta nel carcere di Firenze, venne quindi trasferita al campo di Fossoli, e di qui il 16 maggio 1944 deportata a Auschwitz.

Gina non superò la selezione iniziale e fu uccisa il giorno stesso del suo arrivo a Auschwitz, il 23 maggio 1944.

Renzo Fubini nacque a Milano il 30 settembre 1904 da Riccardo e Bice Colombo. Sposato con Maria (Marisetta) Treves, abitava con la famiglia in corso Arimondi 11 a Torino.

Laureato con lode in Economia con Luigi Einaudi, viaggiò e studiò a Londra e a New York prima di tornare in Italia per divenire professore dell’Università di Trieste. Dal 1935 insegnò Scienza delle finanze e poi Economia, mantenendo contatti con i più importanti colleghi europei. In quanto ebreo fu colpito dalle leggi razziali del 1938, che lo costrinsero a lasciare l’insegnamento.

Agenti della polizia italiana arrestarono Renzo a Ivrea il 7 febbraio 1944. La cattura, che avvenne attirandolo all’esterno del convento nel quale si era rifugiato con il pretesto di una inesistente comunicazione riguardante la moglie, avvenne a causa di una delazione anonima. Venne condotto in un primo tempo alle carceri di Ivrea, in seguito trasferito alle carceri di Milano e quindi al campo di Fossoli. Fu infine deportato a Auschwitz il 16 maggio 1944. Al suo arrivo al campo il 23 maggio, venne immatricolato col numero A-5410.

Renzo morì ad Auschwitz dopo il 14 settembre 1944.

Aldo Gabriele Fubini nacque a Torino in via Accademia Albertina n° 37, il 15 febbraio 1898 da Abramo Fubini ed Eugenia Ovazza. Abitava in via Accademia Albertina n° 37 al piano 2°, aveva un fratello, Ugo Fubini, nato il 30 gennaio 1902 e deceduto il 5 dicembre 1939.
Ebreo, di professione commerciante, era sposato con Ida Marietta Lattes dal 29 agosto 1923 e da lei aveva avuto un figlio, Franco, nato il 1° settembre 1924 ed una figlia, Elda, nata il 21 settembre 1929. La coppia risultava legalmente separata dal 28 febbraio 1939.
Venne arrestato a Torino il 15 agosto 1944 da italiani; al momento della cattura le sue condizioni di salute non apparivano buone . Detenuto a Torino presso le Carceri Nuove, venne successivamente trasferito a Bolzano, luogo dal quale fu deportato tramite il convoglio n. 18 secondo la numerazione indicata ne Il libro della memoria. Gli ebrei deportati dall’Italia (1943-1945) di Liliana Picciotto, diretto ad Auschwitz.
Si trattava del primo trasporto destinato ad ebrei partito dal campo di raccolta e transito di Bolzano-Gries; viaggiava sotto la sigla RSHA (Reichssicherheitshauptamt, Direzione generale per la Sicurezza del Reich), nonostante vi fossero deportati transitanti sotto la sigla Sipo-SD (Sicherheitspolizei-sicherheitsdienst, Polizia di sicurezza-Servizio di sicurezza). Il trasporto, indicato da Italo Tibaldi con il numero 96 nel libro Compagni di viaggio. Dall’Italia ai lager nazisti. I “trasporti” dei deportati 1943-45, partì il 24 ottobre 1944 ed arrivò ad Auschwitz il 28 dello stesso mese. Non si conosce il numero esatto dei deportati; gli uomini furono 196 mentre relativamente alle donne non vi sono informazioni precise. Successivamente alla selezione vennero immatricolati 59 uomini ai quali vennero assegnati i numeri da 199.858 a 199.883 e da B-13.710 a B-13.742, mentre i 137 restanti vennero condotti alle camere a gas.
Aldo Fubini, secondo alcune testimonianze, venne ucciso all’arrivo il 28 ottobre 1944. La scheda anagrafica, tuttavia, ne indica la morte il giorno 27 ottobre 1944.

Mario Augusto Fubini nacque a Torino il 26 aprile 1915, da Abramo Fubini ed Enrichetta Rimini.
Di origine ebraica, studente, abitava a Torino in Via Accademia Albertina 37.
Venne arrestato insieme alla madre alla frontiera italo-svizzera (Varese) il 15 dicembre 1943 da italiani e detenuto nel carcere di Varese; successivamente venne trasferito a Milano presso il carcere di San Vittore.
Fu deportato dal convoglio n. 6, secondo la numerazione indicata ne Il libro della memoria. Gli ebrei deportati dall’Italia (1943-1945) di Liliana Picciotto, formato a Milano e a Verona, il 30 gennaio 1944; il trasporto viaggiava sotto la sigla RSHA (Reichssicherheitshauptamt, ovvero Direzione generale per la Sicurezza del Reich) e giunse ad Auschwitz il 6 febbraio 1944 . Italo Tibaldi, nel libro Compagni di viaggio. Dall’Italia ai lager nazisti. I “trasporti” dei deportati 1943-45, indica il trasporto con il numero di 24.
Secondo quanto riportato da Danuta Czech in Kalendarium. Gli avvenimenti nel campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau. Gennaio – Giugno 1944, giunsero con il convoglio 700 ebrei; successivamente alla selezione vennero immatricolati 97 uomini con numeri da 173.394 a 173.490 e 31 donne con numeri da 75.714 a 75.204 mentre le altre 572 persone vennero uccise nelle camere a gas. Mario Fubini non sopravvisse alla Shoah; fu visto a Gleiwitz, uno dei sottocampi di Auschwitz, il 28 gennaio 1945 da un testimone. Presumibilmente partecipò ad una delle famigerate marce della morte; la data di morte presunta di Mario Augusto Fubini è indicata il 28 febbraio 1945.

Bortolo Gatti nacque il 6 luglio 1911 a Iseo, in provincia di Brescia, da Giovanni Gatti e Giulia Buffoli. Celibe, abitava in via Venaria 51, oggi via Venaria 97. Lavorò come panettiere e prestò a lungo servizio nei Carabinieri: il suo nome appare nell’organigramma delle Bande Autocarrate dei Carabinieri Reali. Combatté in Africa Orientale nel 1935-36 e venne decorato con la croce al merito di guerra il 16 dicembre 1937, ricevette inoltre la medaglia di benemerenza per i volontari della campagna dell’Africa Orientale 1935-36. Partecipò dall’11 giugno 1940 al 25 dello stesso mese alle operazioni di guerra sul fronte alpino e successivamente, dal 3 febbraio 1942 al 14 marzo 1943, alle operazioni militari in Africa settentrionale presso il Comando superiore delle FF.AA. Nei fogli militari riportanti il ruolo matricolare di Bortolo Gatti si legge: «Considerato in servizio dal 9 settembre 1943 al 19 novembre 1944 in quanto discriminato». Venne arrestato dai tedeschi nel settembre 1944 a Trieste e considerato come prigioniero di guerra a tutti gli effetti; al momento della cattura ricopriva la carica di Brigadiere dei Carabinieri Reali.

Partì da Trieste con il trasporto n.87 secondo la numerazione fornita da Italo Tibaldi in Compagni di viaggio. Dall’Italia ai lager nazisti. I “trasporti” dei deportati 1943-45. Il convoglio partì il 2 ottobre 1944 con destinazione Dachau, dove giunse il 5 ottobre dello stesso mese; durante le soste a Udine e a Gorizia vennero aggiunti altri prigionieri. Il totale dei deportati per il convoglio viene stimato intorno alle 236 unità. I numeri di matricola attribuiti alla data di arrivo del convoglio sono compresi tra il 112742 e il 112977. All’arrivo a Dachau Bortolo Gatti dichiarò il mestiere di fornaio, venne classificato con la categoria Schutz (Schutzhäfling, “prigioniero in base alla normativa sulla custodia preventiva) e gli venne assegnato il numero di matricola 112888. Il 22 ottobre 1944 venne trasferito a Neuengamme con il trasporto 204; giunse ad Amburgo il 23 ottobre e qui gli venne assegnato il numero di matricola 62632. Venne infine trasferito a Kommando Husum di Neuengamme, sul confine danese.

Bortolo Gatti risulta deceduto alle ore 06:25 del 19 novembre 1944 a Husum-Ladelund (Neuengamme) per dissenteria. É sepolto nella fossa comune n.6 del cimitero di Ladelund.

Giuseppe Ghiotti nacque in Via Mondovì a Torino il 30 aprile del 1916 da Agostino Ghiotti e Maria Campo. Aveva una sorella che si chiamava Felicita. Il 17 febbraio del 1941 si sposò con Aventina Zerbone. Dopo l’8 settembre del 1943 Giuseppe Ghiotti risulta far parte del corpo di Fanteria del Regio Esercito con il grado di Capitano. Le vicende relative al suo arresto sono legate ai fatti intercorsi ad Aosta presso la Scuola Centrale Militare di Alpinismo - Caserma Duca degli Abruzzi. Venne infatti arrestato nella notte tra il 18 e 19 giugno del 1944 a seguito di un sospetto da parte dei tedeschi secondo il quale, da li a poco tempo, sarebbe stata organizzata un’azione di diserzione con conseguente passaggio tra le fila partigiane. Ufficiali e Sottufficiali del settimo Comando Provinciale di Aosta e soldati di truppa vennero sottoposti al fermo dalla Guardia Nazionale Repubblicana e dai reparti WAFFEN-SS. Otto ufficiali, tra cui Giuseppe Ghiotti, vennero tradotti a Torino per essere interrogati e sottoposti al giudizio del Tribunale Straordinario Militare di Torino. Il 7 settembre del 1944 giunse a Flossenbürg. Vi arrivò con il trasporto n. 81 secondo la numerazione data da Tibaldi, partito da Bolzano il 5 settembre. Delle 432 persone a bordo, 3 su 4 non fecero ritorno. I deportati del Trasporto 81 furono immatricolati a Flossenbürg con i numeri dal l [21402] al [21834]. Dopo un periodo di quarantena, molti dei deportati vennero trasferiti in altri sottocampi o lager. Classificato come Pol., a Giuseppe Ghiotti venne assegnato il numero 21528. Il 30 settembre del 1944, dopo un periodo di quarantena, venne inviato a Hersbruck sottocampo di Flossenbürg. Il sottocampo distava 10 chilometri da Norimberga e, dopo quello di Leitmeritz, era il più grande sottocampo di Flossenbürg. Con una mortalità dell’80%, Hersbruck risulta essere la destinazione più frequente. Qui, infatti, vennero trasferiti 167 dei 432 deportati del convoglio n. 81 di cui solo 27 sono sopravvissuti. Il 23 dicembre dello stesso anno, Giuseppe Ghiotti venne nuovamente trasferito a Flossenbürg dove morì il 14 gennaio del 1945.

 

Giuseppe Girotti nacque ad Alba il 19 luglio 1905 da Celso e Martina Proetto. Frate predicatore domenicano, viveva presso il convento di via San Domenico 0 a Torino.

Laureato in teologia e apprezzato commentatore biblico, manteneva rapporti culturali internazionali con Roma e con Gerusalemme. Dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, all’insaputa dei superiori, fu organizzatore di una rete clandestina che si occupava di nascondere e aiutare partigiani ed ebrei. Vittima di una spia fascista che si presentò come partigiano ferito, Giuseppe venne arrestato il 29 agosto 1944. Il falso partigiano ferito si presentò come figlio di Giuseppe Davide Diena, che così venne catturato nell’ambito della stessa operazione. Trasferito a Bolzano, Giuseppe Girotti venne deportato a Dachau il 9 ottobre 1944. Lì fu immatricolato col numero 113355 e classificato nella categoria “Schutz” (prigioniero per motivi politici).

Giuseppe morì a Dachau il 1 aprile 1945. La sua vicenda venne ricordata da alcuni compagni sopravvissuti, tra cui citiamo Ferruccio Maruffi.

Guido Graziadio Foa nacque a Torino il 3 agosto 1936 da Italo e Estella Luzzati. Abitava con la famiglia in corso Palermo 86 a Torino.

In quanto ebreo, con l’occupazione nazista dell’Italia seguita all’8 settembre 1943, si trovò a dover seguire la propria famiglia nella fuga per sfuggire all’arresto e alla deportazione. Venne arrestato con i genitori ad Asti il 22 dicembre 1943. Detenuto in un primo tempo presso il campo di Fossoli, il 22 febbraio 1944 venne deportato al campo di concentramento di Auschwitz, dove arrivò il 26 dello stesso mese.

Guido Graziadio non superò la selezione iniziale, e venne ucciso il 26 febbraio 1944 ad Auschwitz. Anche i suoi genitori morirono a Auschwitz.

Ercole Jachia nacque a Torino il 4 aprile 1936 da Salvatore Jachia ed Evelina Valabrega. Perse il padre a causa di un attacco cardiaco il 13 febbraio 1942. Di origine ebraica, viveva a Torino in via Baretti 31 al 3° piano, in affitto, con la madre Evelina Valabrega (1907), le sorelle Pasqua Jachia (1932), Ida Jachia (1937), il fratello Anselmo Jachia (1934), lo zio Umberto Valabrega (1914) e la nonna Ida Moresco (1877). Preziose informazioni inerenti la vicenda di deportazione della famiglia Valabrega-Jachia, di seguito riportate, provengono dalla sezione “Le Vite” nell’ambito del progetto Le case e le cose. Le leggi razziali del 1938 e la proprietà privata, a cura di Daniela Levi e Eva Vitali Norsa.

Ercole lasciò Torino e giunse a Montagnana, in provincia di Padova, il 13 dicembre 1943, insieme alla famiglia che si stabilì in via Decima 3. Il 20 dicembre 1943 la questura di Padova venne informata della presenza della famiglia Valabrega-Jachia in Montagnana dalla legione territoriale dei carabinieri. Nella notte tra il 23 e il 24 dicembre 1943 la Guardia Nazionale Repubblicana arrestò l’intero nucleo familiare i cui componenti vennero trasferiti a Vo’ Vecchio nella Villa Contarini Giovanelli Venier, un edificio settecentesco sequestrato dalla Repubblica Sociale Italiana e trasformato in campo di concentramento per le province di Padova e Rovigo per rispondere all’ordinanza n.5 del 30 novembre 1943. La villa era di proprietà del commerciante Sirio Landini, il quale l’aveva concessa in affitto alle suore elisabettine; queste durante la conversione a campo di concentramento ne gestirono le cucine, mentre la direzione venne affidata alla polizia italiana. Il luogo, utilizzato come campo per sette mesi, venne smantellato nel luglio del 1944 e, il 17 dello stesso mese, i 47 presenti vennero trasferiti dai tedeschi a Padova, dopo essere stati spogliati di tutti i loro preziosi; donne e bambini vennero detenuti presso il carcere dei Paolotti mentre gli uomini  presso la casa di pena di Piazza Castello. Dopo due giorni i prigionieri furono trasferiti nella Risiera di San Sabba da due camion, uno per le donne e i bambini ed uno per gli uomini. Il 31 luglio 1944 i prigionieri vennero caricati sul trasporto 33T diretto ad Auschwitz, dove giunse il 3 agosto 1944.

Il 31 luglio 1944 i prigionieri vennero caricati sul trasporto 33T, secondo la numerazione fornita ne Il libro della memoria. Gli ebrei deportati dall’Italia (1943-1945) di Liliana Picciotto, diretto ad Auschwitz, dove giunse il 3 agosto 1944. Nel libro di Italo Tibaldi Compagni di viaggio. Dall’Italia ai lager nazisti. I “trasporti” dei deportati 1943-45, il trasporto viene indicato con il n.66; risultano identificati 71 deportati, 7 dei quali sopravvissuti al momento della liberazione. Agli uomini vennero assegnati i numeri da A-19952 ad A-19961 e da 190708 a 190713; alle donne i numeri da A-16450 ad A-16456 e da 82910 a 82980. Dei 47 presenti a villa Contarini Giovanelli Venier sopravvissero in 3.

Ercole Jachia venne ucciso all’arrivo ad Auschwitz il 3 agosto 1944.

Ida Jachia nacque a Torino il 17 novembre 1937 da Salvatore Jachia ed Evelina Valabrega. Perse il padre a causa di un attacco cardiaco il 13 febbraio 1942. Di origine ebraica, viveva a Torino in via Baretti 31 al 3° piano, in affitto, con la madre Evelina Valabrega (1907), la sorella Pasqua Jachia (1932), i fratelli Anselmo Jachia (1934), Ercole Jachia (1936), lo zio Umberto Valabrega (1914) e la nonna Ida Moresco (1877). Preziose informazioni inerenti la vicenda di deportazione della famiglia Valabrega-Jachia, di seguito riportate, provengono dalla sezione “Le Vite” nell’ambito del progetto Le case e le cose. Le leggi razziali del 1938 e la proprietà privata, a cura di Daniela Levi e Eva Vitali Norsa.

Ida lasciò Torino e giunse a Montagnana, in provincia di Padova, il 13 dicembre 1943, insieme alla famiglia che si stabilì in via Decima 3. Il 20 dicembre 1943 la questura di Padova venne informata della presenza della famiglia Valabrega-Jachia in Montagnana dalla legione territoriale dei carabinieri. Nella notte tra il 23 e il 24 dicembre 1943 la Guardia Nazionale Repubblicana arrestò l’intero nucleo familiare i cui componenti vennero trasferiti a Vo’ Vecchio nella Villa Contarini Giovanelli Venier, un edificio settecentesco sequestrato dalla Repubblica Sociale Italiana e trasformato in campo di concentramento per le province di Padova e Rovigo per rispondere all’ordinanza n.5 del 30 novembre 1943. La villa era di proprietà del commerciante Sirio Landini, il quale l’aveva concessa in affitto alle suore elisabettine; queste durante la conversione a campo di concentramento ne gestirono le cucine, mentre la direzione venne affidata alla polizia italiana. Il luogo, utilizzato come campo per sette mesi, venne smantellato nel luglio del 1944 e, il 17 dello stesso mese, i 47 presenti vennero trasferiti dai tedeschi a Padova, dopo essere stati spogliati di tutti i loro preziosi; donne e bambini vennero detenuti presso il carcere dei Paolotti mentre gli uomini  presso la casa di pena di Piazza Castello. Dopo due giorni i prigionieri furono trasferiti nella Risiera di San Sabba da due camion, uno per le donne e i bambini ed uno per gli uomini.

Il 31 luglio 1944 i prigionieri vennero caricati sul trasporto 33T, secondo la numerazione fornita ne Il libro della memoria. Gli ebrei deportati dall’Italia (1943-1945) di Liliana Picciotto, diretto ad Auschwitz, dove giunse il 3 agosto 1944. Nel libro di Italo Tibaldi Compagni di viaggio. Dall’Italia ai lager nazisti. I “trasporti” dei deportati 1943-45, il trasporto viene indicato con il n.66; risultano identificati 71 deportati, 7 dei quali sopravvissuti al momento della liberazione. Agli uomini vennero assegnati i numeri da A-19952 ad A-19961 e da 190708 a 190713; alle donne i numeri da A-16450 ad A-16456 e da 82910 a 82980. Dei 47 presenti a villa Contarini Giovanelli Venier sopravvissero in 3.

Ida Jachia venne uccisa all’arrivo ad Auschwitz il 3 agosto 1944.

Ida Moresco nacque a Livorno il 20 febbraio 1877 da Giacomo Moresco ed Eva Del Mare.

Era sposata con Pacifico Valabrega con il quale ebbe quattro figli: Margherita Valabrega (1903), Elena Valabrega (1905), Evelina Valabrega (1907), Vittorio Valabrega (1910) e Umberto Valabrega (1914). Dal censimento degli ebrei effettuato tra il 1938 e il 1939, Ida risulta essere vedova e casalinga. Le vicende inerenti la sua deportazione sono strettamente legate a quelle della propria famiglia. Consultando il fascicolo relativo alla figlia Evelina Valabrega redatto dall’EGELI (Ente gestione e liquidazione immobiliare istituito con le leggi razziali del 1938), che si occupava della gestione e successiva liquidazione dei beni ebraici, è stato possibile comprendere quale fosse la situazione della famiglia nel 1943. Ida viveva in affitto a Torino in via Baretti 31 al terzo piano di un appartamento di ringhiera insieme al figlio Umberto, alla figlia Evelina e ai nipoti Pasqua Jachia (1932), Anselmo Jachia (1934), Ercole Jachia (1936) e Ida Jachia (1937). Numerose informazioni sono infatti state fornite grazie ad una ricerca effettuata da Daniela Levi e Eva Vitali Norsa, i cui risultati sono reperibili all’interno della sezione “Le Vite” nell’ambito del progetto Le case e le cose. Le leggi razziali del 1938 e la proprietà privata. Abbandonata Torino, il 13 dicembre del 1943 la famiglia giunse a Montagnana, in provincia di Padova, andando ad abitare in Via Decima 3. Un documento datato 15 dicembre, redatto dal Podestà di Montagnana e indirizzato alla Prefettura di Padova, rileva la presenza del nucleo familiare nel comune di Montagnana specificando che “la famiglia di ebrei sfollati da Torino non possiede né beni mobili né immobili e ha finora vissuto dei soccorsi corrisposti dalla Comunità israelitica di Padova”. Arrestata insieme al resto della famiglia tra il 23 e il 24 dicembre 1943 a Montagnana, dalla Guardia Nazionale Repubblicana, venne poi trasferita al campo di Vo’ Vecchio, nella Villa Contarini Giovanelli Venier. La villa, la cui costruzione risalirebbe alla fine del 1500, apparteneva al commerciante Sirio Landini che, nel 1943, la diede in affitto alle suore Elisabettiane di Padova. La stessa villa venne in seguito individuata e, nel dicembre del 43, trasformata in un campo di raccolta destinato per ebrei della provincia di Padova e di Rovigo. Dopo la trasformazione in campo di concentramento, le suore si occuparono della gestione delle cucine mentre l’amministrazione del centro ricadde nella competenza della polizia italiana. Per circa 7 mesi la struttura venne quindi utilizzata come campo per poi essere smantellata nel mese di luglio del 1944. Il 17 luglio 1944 le 47 persone presenti nel campo, tra cui Ida e la sua famiglia, vennero trasferite dai tedeschi a Padova. Un documento della locale Questura del 1956, in riferimento agli eventi intercorsi in quella giornata, riferisce che “ufficiali e militari SS tedesche e del Comando Presidio Germanico di Este (Padova), circondarono e invasero il campo di concentramento predetto e imposero al direttore del campo di adunare tutti gli ebrei ivi internati. Quindi, tolti loro gli oggetti di valore e denaro, che furono messi in buste, firmate dagli interessati, i predetti militari li caricarono su autocarri…”. Donne e bambini vennero tradotti al carcere dei Paolotti di Padova mentre gli uomini alla casa di pena di Piazza Castello. Due giorni dopo, Ida Moresco, insieme agli altri prigionieri, venne nuovamente trasferita. Caricati su due camion, vennero condotti alla Risiera di San Sabba. Partita il 31 luglio con un convoglio formato a Trieste, giunse ad Auschwitz il 3 agosto.  Il convoglio sul quale venne caricata, era il n. 33T (secondo la classificazione presente in Il libro della memoria. Gli ebrei deportati dall’Italia (1943-1945) di Liliana Picciotto. Nel libro di Italo Tibaldi Compagni di viaggio. Dall’Italia ai lager nazisti. I “trasporti” dei deportati 1943-45, il trasporto viene indicato con il n. 66. Di questo trasporto non si conosce il numero preciso dei deportati, considerando anche il fatto che ne vennero aggiunti altri durante la sosta fatta a Gorizia. Soltanto 71 nominativi sono stati identificati e solo 7 riuscirono a sopravvivere. Ida Moresco risulta essere stata uccisa all’arrivo ad Auschwitz il 3 agosto 1944. Dei 47 ebrei che si trovavano all’interno del campo di Vo’ Vecchio, soltanto 3 sopravvissero alla deportazione.

 

Pasqua Jachia nacque a Torino il 26 agosto 1932 da Salvatore Jachia ed Evelina Valabrega. Perse il padre a causa di un attacco cardiaco il 13 febbraio 1942. Di origine ebraica, viveva a Torino in via Baretti 31 al 3° piano, in affitto, con la madre Evelina Valabrega (1907), la sorella Ida Jachia (1937), i fratelli Anselmo Jachia (1934), Ercole Jachia (1936), lo zio Umberto Valabrega (1914) e la nonna Ida Moresco (1877). Preziose informazioni inerenti la vicenda di deportazione della famiglia Valabrega-Jachia, di seguito riportate, provengono dalla sezione “Le Vite” nell’ambito del progetto Le case e le cose. Le leggi razziali del 1938 e la proprietà privata, a cura di Daniela Levi e Eva Vitali Norsa.

Pasqua lasciò Torino e giunse a Montagnana, in provincia di Padova, il 13 dicembre 1943, insieme alla famiglia che si stabilì in via Decima 3. Il 20 dicembre 1943 la questura di Padova venne informata della presenza della famiglia Valabrega-Jachia in Montagnana dalla legione territoriale dei carabinieri. Nella notte tra il 23 e il 24 dicembre 1943 la Guardia Nazionale Repubblicana arrestò l’intero nucleo familiare i cui componenti vennero trasferiti a Vo’ Vecchio nella Villa Contarini Giovanelli Venier, un edificio settecentesco sequestrato dalla Repubblica Sociale Italiana e trasformato in campo di concentramento per le province di Padova e Rovigo per rispondere all’ordinanza n.5 del 30 novembre 1943. La villa era di proprietà del commerciante Sirio Landini, il quale l’aveva concessa in affitto alle suore elisabettine; queste durante la conversione a campo di concentramento ne gestirono le cucine, mentre la direzione venne affidata alla polizia italiana. Il luogo, utilizzato come campo per sette mesi, venne smantellato nel luglio del 1944 e, il 17 dello stesso mese, i 47 presenti vennero trasferiti dai tedeschi a Padova, dopo essere stati spogliati di tutti i loro preziosi; donne e bambini vennero detenuti presso il carcere dei Paolotti mentre gli uomini presso la casa di pena di Piazza Castello. Dopo due giorni i prigionieri furono trasferiti nella Risiera di San Sabba da due camion, uno per le donne e i bambini ed uno per gli uomini.

Il 31 luglio 1944 i prigionieri vennero caricati sul trasporto 33T, secondo la numerazione fornita ne Il libro della memoria. Gli ebrei deportati dall’Italia (1943-1945) di Liliana Picciotto, diretto ad Auschwitz, dove giunse il 3 agosto 1944. Nel libro di Italo Tibaldi Compagni di viaggio. Dall’Italia ai lager nazisti. I “trasporti” dei deportati 1943-45, il trasporto viene indicato con il n.66; risultano identificati 71 deportati, 7 dei quali sopravvissuti al momento della liberazione. Agli uomini vennero assegnati i numeri da A-19952 ad A-19961 e da 190708 a 190713; alle donne i numeri da A-16450 ad A-16456 e da 82910 a 82980. Dei 47 presenti a villa Contarini Giovanelli Venier sopravvissero in 3.

Pasqua Jachia venne uccisa all’arrivo ad Auschwitz il 3 agosto 1944.

Anselmo Jachia nacque a Torino l’8 novembre 1934 da Salvatore Jachia ed Evelina Valabrega. Perse il padre a causa di un attacco cardiaco il 13 febbraio 1942. Di origine ebraica, viveva a Torino in via Baretti 31 al 3° piano, in affitto, con la madre Evelina Valabrega (1907), le sorelle Pasqua Jachia (1932), Ida Jachia (1937), il fratello Ercole Jachia (1936), lo zio Umberto Valabrega (1914) e la nonna Ida Moresco (1877). Preziose informazioni inerenti la vicenda di deportazione della famiglia Valabrega-Jachia, di seguito riportate, provengono dalla sezione “Le Vite” nell’ambito del progetto Le case e le cose. Le leggi razziali del 1938 e la proprietà privata, a cura di Daniela Levi e Eva Vitali Norsa.

Anselmo lasciò Torino e giunse a Montagnana, in provincia di Padova, il 13 dicembre 1943, insieme alla famiglia che si stabilì in via Decima 3. Il 20 dicembre 1943 la questura di Padova venne informata della presenza della famiglia Valabrega-Jachia in Montagnana dalla legione territoriale dei carabinieri. Nella notte tra il 23 e il 24 dicembre 1943 la Guardia Nazionale Repubblicana arrestò l’intero nucleo familiare i cui componenti vennero trasferiti a Vo’ Vecchio nella Villa Contarini Giovanelli Venier, un edificio settecentesco sequestrato dalla Repubblica Sociale Italiana e trasformato in campo di concentramento per le province di Padova e Rovigo per rispondere all’ordinanza n.5 del 30 novembre 1943. La villa era di proprietà del commerciante Sirio Landini, il quale l’aveva concessa in affitto alle suore elisabettine; queste durante la conversione a campo di concentramento ne gestirono le cucine, mentre la direzione venne affidata alla polizia italiana. Il luogo, utilizzato come campo per sette mesi, venne smantellato nel luglio del 1944 e, il 17 dello stesso mese, i 47 presenti vennero trasferiti dai tedeschi a Padova, dopo essere stati spogliati di tutti i loro preziosi; donne e bambini vennero detenuti presso il carcere dei Paolotti mentre gli uomini presso la casa di pena di piazza Castello. Dopo due giorni i prigionieri furono trasferiti nella Risiera di San Sabba da due camion, uno per le donne e i bambini ed uno per gli uomini.

Il 31 luglio 1944 i prigionieri vennero caricati sul trasporto 33T, secondo la numerazione fornita ne Il libro della memoria. Gli ebrei deportati dall’Italia (1943-1945) di Liliana Picciotto, diretto ad Auschwitz, dove giunse il 3 agosto 1944. Nel libro di Italo Tibaldi Compagni di viaggio. Dall’Italia ai lager nazisti. I “trasporti” dei deportati 1943-45, il trasporto viene indicato con il n.66; risultano identificati 71 deportati, 7 dei quali sopravvissuti al momento della liberazione. Agli uomini vennero assegnati i numeri da A-19952 ad A-19961 e da 190708 a 190713; alle donne i numeri da A-16450 ad A-16456 e da 82910 a 82980. Dei 47 presenti a villa Contarini Giovanelli Venier sopravvissero in 3.

Anselmo Jachia venne ucciso all’arrivo ad Auschwitz il 3 agosto 1944.

Luigi Jona, detto Gigi, nacque ad Asti l’11 ottobre 1902, figlio di Rodolfo e Rosa Emilia Segre, fratello minore di Remo. Frequentò il Liceo Classico Vittorio Alfieri di Asti e proseguì gli studi laureandosi in Giurisprudenza presso l'Università di Torino. Divenne avvocato come suo fratello Remo, insieme al quale aprì uno studio in via Papacino 6 a Torino. Già iscritto al Sindacato Fascista degli Avvocati e Procuratori, nel 1932 Luigi inoltrò domanda di iscrizione al PNF, accolta nel 1933. La fede fascista di Luigi risultò dubbia in quanto nella sua cartella biografica fascista era annotato come poco assiduo frequentatore delle adunate. Nel 1937 divenne notaio e spostò lo studio in via Viotti 4, mentre la sua abitazione risultava essere in corso Oporto 53, l'attuale corso Giacomo Matteotti. Nel 1938, in seguito all’emanazione delle leggi razziali, insieme al fratello Remo fu espulso dal PNF. Nell’autunno del 1943 venne arrestato mentre pranzava in un ristorante in via Rossini e condotto nel braccio tedesco delle Carceri Nuove. Il I dicembre, insieme a 12 donne e 18 uomini ebrei fu trasferito nelle carceri di Milano. Con un convoglio che partì il 6 dicembre 1943 dal binario 21 della stazione Centrale di Milano fu portato ad Auschwitz, dove arrivò l’11 dicembre. Non è noto il numero di persone presenti nel convoglio ma ne sono stati identificati 246; alla liberazione ne risultavano superstiti solo 5.
Nonostante non vi siano documenti comprovanti la sua immatricolazione, presumibilmente superò la selezione, in base all’unica informazione reperibile dalla scheda di deportazione presente nell’Archivio della Comunità ebraica di Torino, che reca la testimonianza di Enzo Levy, uno dei pochissimi superstiti dello stesso convoglio, che dichiarava di aver visto Luigi ad Auschwitz nel dicembre del 1943.
Il 2 luglio del 1956 il Tribunale di Torino dichiarò la presunta morte di Luigi Jona “in campo di concentramento in Germania alle ore 24 del 27 febbraio 1944” essendosi perse le tracce nonostante le successive ricerche dei familiari.

Remo Jona nacque a Asti il 30 aprile 1900 da Rodolfo e Emilia Segre. Sposato con Ilka Vitale, viveva con la moglie e i figli Ruggero e Raimondo in via Filangieri 4 a Torino.

Ebreo, dopo l’8 settembre 1943 per sfuggire al rischio della deportazione si nascose con la famiglia a Issime in Valle d’Aosta. In quel luogo, però, il 7 dicembre 1943 venne catturato insieme alla moglie e ai figli, condotto alle carceri di Aosta e quindi trasferito nel campo di Fossoli. Fu deportato ad Auschwitz con il trasporto partito il 22 febbraio 1944 e arrivato il 26 dello stesso mese. Arrivato al campo, superò la selezione e venne immatricolato col numero 174508.

Diversamente dalla moglie e dai due figli, che furono uccisi all’arrivo ad Auschwitz, Remo sopravvisse alle dure prove del campo e venne liberato il 27 gennaio 1945. Morì il 18 dicembre 1954, travolto da una motocicletta sulla strada provinciale di Lanzo, nei pressi della villa dei suoceri.

Ilka (in alcuni documenti anche Ilca) Vitale nacque a Torino il 17 febbraio 1906 da Achille e Rina Loria. Sposata con Remo Jona, viveva con il marito e i figli Ruggero e Raimondo in via Filangieri 4 a Torino.

Ebrea, dopo l’8 settembre 1943 per sfuggire al rischio della deportazione si nascose con la famiglia a Issime in Valle d’Aosta. In quel luogo, però, il 7 dicembre 1943 venne catturata insieme al marito e ai figli, condotta alle carceri di Aosta e quindi trasferita nel campo di Fossoli. Fu deportata ad Auschwitz con il trasporto partito il 22 febbraio 1944 e arrivato il 26 dello stesso mese.

All’arrivo al campo, Ilka non superò la prima selezione e venne uccisa il giorno stesso insieme ai suoi figli.

Raimondo Luigi Eugenio Jona nacque a Torino il 13 gennaio 1937 da Remo e Ilka Vitale. Viveva coi genitori e con il fratello Ruggero in via Filangieri 4 a Torino.

Ebreo, dopo l’8 settembre 1943 per sfuggire al rischio della deportazione si nascose con la famiglia a Issime in Valle d’Aosta. In quel luogo, però, il 7 dicembre 1943 venne catturato insieme ai genitori e al fratello, condotto alle carceri di Aosta e quindi trasferito nel campo di Fossoli. Fu deportato ad Auschwitz con il trasporto partito il 22 febbraio 1944 e arrivato il 26 dello stesso mese.

All’arrivo al campo, Raimondo non superò la prima selezione e venne ucciso il giorno stesso insieme a sua madre e suo fratello.

Ruggero Achille Rodolfo Jona nacque a Torino il 5 febbraio 1932 da Remo e Ilka Vitale. Viveva coi genitori e con il fratello Raimondo in via Filangieri 4 a Torino.

Ebreo, dopo l’8 settembre 1943 per sfuggire al rischio della deportazione si nascose con la famiglia a Issime in Valle d’Aosta. In quel luogo, però, il 7 dicembre 1943 venne catturata insieme ai genitori e al fratello, condotto alle carceri di Aosta e quindi trasferito nel campo di Fossoli. fu deportato ad Auschwitz con il trasporto partito il 22 febbraio 1944 e arrivato il 26 dello stesso mese.

All’arrivo al campo, Ruggero non superò la prima selezione e venne ucciso il giorno stesso insieme a sua madre e suo fratello.

Edvige Lattes nacque a Torino il 4 ottobre 1881 da Israele e Sara Colombo. Abitava con i fratelli Leone e Itala in via Passalacqua 6 a Torino.

Dopo l’arresto del fratello per ragioni razziali, il 17 ottobre 1943 Edvige si recò presso le carceri Nuove dove era detenuto Leone, sottovalutando la pericolosità dell’azione. Riconosciuta quale ebrea, venne a sua volta arrestata insieme alla sorella Itala che l’accompagnava. Venne quindi trasferita alle carceri di Milano, e di qui il 6 dicembre 1943 deportata ad Auschwitz, dove arrivò l’11 dello stesso mese.

All’arrivo al campo, Edvige non superò la selezione iniziale e venne uccisa il giorno stesso insieme alla sorella.

Itala Lattes nacque a Torino il 1 febbraio 1886 da Israele e Sara Colombo. Abitava con i fratelli Leone e Edvige in via Passalacqua 6 a Torino. Al piano terra dello stesso indirizzo possedeva e gestiva il negozio “L’arte del rammendo”, dove lavorava come rammendatrice.

Dopo l’arresto del fratello per ragioni razziali, il 17 ottobre 1943 si recò presso le carceri Nuove dove era detenuto Leone, sottovalutando la pericolosità dell’azione. Riconosciuta quale ebrea, venne a sua volta arrestata insieme alla sorella Edvige che l’accompagnava. Venne quindi trasferita alle carceri di Milano, e di qui il 6 dicembre 1943 deportata ad Auschwitz, dove arrivò l’11 dello stesso mese.

All’arrivo al campo, Itala non superò la selezione iniziale e venne uccisa il giorno stesso insieme alla sorella.

Leone Lattes nacque a Torino il 13 gennaio 1891 da Israele e Sara Colombo. Abitava con le sorelle Edvige e Itala in via Passalacqua 6 a Torino.

Ebreo, dopo l’8 settembre 1943 si allontanò da Torino per sfuggire alle persecuzioni. Venne però arrestato a Ronco Biellese (VC) il 21 settembre 1943 e imprigionato alle Nuove di Torino. Il 17 ottobre 1943 le sorelle Edvige e Italia si recarono a chiedere notizie del fratello, sottovalutando la pericolosità della loro azione. Riconosciute quali ebree, furono a loro volta arrestate e poi deportate. Leone venne quindi trasferito alle carceri di Milano, e di qui il 30 gennaio 1944 deportato ad Auschwitz. Diversamente dalle sorelle Edvige e Itala, Leone superò la selezione iniziale e venne immatricolato.

Leone morì in un luogo sconosciuto dopo l’ottobre 1944.

 

Antonio Lazzarin nacque a Candiana in provincia di Padova l’8 maggio 1912 da Giovanni Lazzarin e Rosa Cavaletto. Figlio unico, arrivò a Torino nel dicembre del 1930 proveniente da Terrassa Padovana. Nel 1931 si trasferì nuovamente nel comune di provenienza, ma è sconosciuta la data di rientro a Torino. L’ultima residenza nota risulta essere quella di Via Bizzozero 24. Purtroppo non sono molte le notizie conosciute in merito alla vita di Antonio Lazzarin. Dagli accertamenti anagrafici si evince che avesse lavorato come meccanico e anche al momento della registrazione a Mauthausen, dichiarò di essere un meccanico/attrezzista. Dalla documentazione recuperata Lazzarin venne presumibilmente arrestato nel marzo del 1944. Partito il 17 marzo da Bergamo,  giunse a Mauthausen il 20 marzo. Nel libro di Italo Tibaldi Compagni di viaggio. Dall’Italia ai lager nazisti. I “trasporti” dei deportati 1943-45, il trasporto viene indicato con il n.34. Il numero totale dei deportati presenti sul convoglio risulta essere superiore a 560 deportati di cui 245 provenivano da Torino, da dove erano partiti il giorno 13 dello stesso mese. Il percorso seguito dal convoglio passò per Verona, Tarvisio e Villach.  Arrivato a Mauthausen venne classificato come Schutz e immatricolato con il numero 58940. Tra il 21 luglio e il 18 agosto 1944 il Lazzarin compare in un registro di impiegati presso le officine della  Daimler-Benz AG. Il 29 novembre 1944 venne trasferito da Gusen, sottocampo di Mauthausen, a Mauthausen. Il 3dicembre venne nuovamente trasferito, questa volta non in un sottocampo ma in un altro Lager più lontano, quello di Auschwitz che da lì a poche settimane sarebbe stato raggiunto dai russi. Lazzarin fece parte di un gruppo di deportati del trasporto n. 34 che vennero condotti ad Auschwitz con il solo obiettivo di essere impiegati come meccanici per terminare i lavori per la Buna Werke, fabbrica di gomma sintetica. Un ultimo spostamento di Lazzarin viene registrato il 29 gennaio del 1945 a Mauthausen dove venne immatricolato con il numero 123568. Morì nel Sanitaetslager di Mauthausen alle ore 5.30 del 27 febbraio 1945. Tra le cause della morte sono indicate sepsi ed Herpes Zoster. Delle 563 persone presenti sul convoglio n. 34, solo 159 riuscirono a tornare a casa.

 

Oreste Ezechiele Levi nacque a Dogliani, in provincia di Cuneo, il 4 aprile 1885 da Donato Levi e Diamante Cassin; aveva un fratello, Camillo Daniele Levi. Ebreo, abitava in Corso Sommeiller 31 a Torino. Risultava essere celibe al Censimento del 1921, intraprese una carriera amministrativa che lo portò a diventare ragioniere di prefettura.
Oreste Ezechiele Levi venne arrestato a Intragna, in provincia di Novara, il 19 giugno 1944 da una pattuglia di militari tedeschi, forse in seguito a una delazione. Venne detenuto a Torino presso le Carceri Nuove e trasferito successivamente a Bolzano, da dove fu deportato tramite il convoglio n. 18 secondo la numerazione indicata ne Il libro della memoria. Gli ebrei deportati dall’Italia (1943-1945) di Liliana Picciotto, diretto ad Auschwitz. Si trattava del primo trasporto destinato ad ebrei partito dal campo di raccolta e transito di Bolzano-Gries e viaggiava sotto la sigla RSHA (Reichssicherheitshauptamt, Direzione generale per la Sicurezza del Reich), nonostante vi fossero deportati transitanti sotto la sigla Sipo-SD (Sicherheitspolizei-sicherheitsdienst, Polizia di sicurezza- Servizio di sicurezza) . Il trasporto, indicato da Italo Tibaldi con il numero 96 nel libro Compagni di viaggio. Dall’Italia ai lager nazisti. I “trasporti” dei deportati 1943-45, partì il 24 ottobre 1944 ed arrivò ad Auschwitz il 28 dello stesso mese. Non si conosce il numero esatto dei deportati; gli uomini furono 196 mentre relativamente alle donne non vi sono informazioni precise. Successivamente alla selezione vennero immatricolati 59 uomini ai quali vennero assegnati i numeri da 199.858 a 199.883 e da B-13.710 a B-13.742, mentre i 137 restanti vennero condotti alle camere a gas .
Persistono dubbi sulla possibile immatricolazione di Oreste Ezechiele Levi al suo arrivo ad Auschwitz; egli risulta deceduto in luogo e data ignoti.

 

Abramo Giuseppe Levi nacque a Saluzzo (Cuneo) il I aprile 1896. Era figlio di Abramo Levi e Linda Lattes. Sposò Ludovica Motto e visse a Torino in Via della Consolata 1 bis. In quanto ebreo, subì la persecuzione nazista e fascista: fu arrestato da italiani il 7 agosto 1944. Conobbe la detenzione nel carcere Le Nuove di Torino. Fu poi deportato al campo di Bolzano e da qui trasferito ad Auschwitz il 24 ottobre 1944. Morì ad Auschwitz il 25 dicembre 1944.

Eleonora Levi nacque a Torino il 23 febbraio 1884, figlia di Davide e Elisa Rignano. Si sposò con Cesare Tedeschi, e la sua ultima residenza scelta liberamente a Torino fu in corso Massimo D’Azeglio 12 a Torino.

Ebrea, fu arrestata a Torino l’8 marzo 1944, come la nuora e il figlio Giorgio Tedeschi. Nel suo caso, in seguito a una delazione Eleonora fu prelevata da reparti nazisti nella clinica Sanatrix dove si trovava ricoverata in seguito di una grave operazione chirurgica. Rimase detenuta presso Le Nuove di Torino e successivamente nel campo di Fossoli, da dove venne deportata a Auschwitz. Il trasporto, che viaggiava sotto la sigla RSHA, partì il 5 aprile 1944, aggregò altri vagoni a Mantova e Verona, e arrivò ad Auschwitz il 10 aprile. Sono stati individuati 611 dei deportati presenti sul convoglio; di questi, secondo i documenti conservati nell’Archivio del Museo di Auschwitz, gli uomini immatricolati dopo aver superato la selezione all’arrivo furono 154 mentre le donne 80. In totale, alla fine della guerra i sopravvissuti furono 51.

Eleonora non superò la selezione iniziale e fu uccisa all’arrivo ad Auschwitz il 10 aprile 1944.

 

Alessandro Levi nacque a Torino il 12 ottobre 1901, figlio di Moise e Eugenia Todros. Sposato con Germana Garda, abitava con la famiglia in via Fratelli Carle 6 a Torino.

Ebreo, probabilmente a causa di una delazione, fu arrestato a Torino il 18 febbraio 1944. Fu trasferito nel campo di Fossoli, e di qui deportato ad Auschwitz il 22 dello stesso mese. Al suo arrivo al campo, superò la selezione iniziale e venne immatricolato col numero 174514.

Non abbiamo notizie certe sulla sua morte, che avvenne in luogo ignoto dopo il 18 gennaio 1945.

 

Germana Garda nacque a Nizza in Francia il 10 marzo 1904, figlia di Vittoria Avigdor. Sposata con Alessandro Levi, abitava a Torino in via Fratelli Carle 6 a Torino.

Ebrea, probabilmente in seguito a una delazione, il 18 febbraio 1944 fu arrestata da truppe tedesche insieme a suo marito Alessandro e ai figli Luciana e Sergio. Venne detenuta nel campo di Fossoli e in seguito fu deportata ad Auschwitz con un convoglio (lo stesso su cui viaggiava Primo Levi) che partì il 22 febbraio 1944 e giunse ad Auschwitz il 26 dello stesso mese. Il trasporto viaggiava sotto la sigla RSHA e il numero dei deportati che è stato possibile identificare è 489. Secondo la documentazione conservata negli archivi del Museo di Auschwitz, 95 furono gli uomini che superarono la selezione per il gas all’arrivo mentre le donne furono 29. Di questi solamente 23 erano vivi alla fine della guerra.

Non abbiamo notizie sulla data e sul luogo della morte di Germana, che avvenne dopo l’arrivo al campo di concentramento.

 

 

Luciana Levi nacque a Torino il 6 febbraio 1926, figlia di Alessandro e Germana Garda. Viveva coi genitori e il fratello Sergio in via Fratelli Carle 6 a Torino.

Ebrea, fu arrestata a Torino il 15 febbraio 1944 insieme ai suoi familiari da reparti tedeschi. Venne detenuta nel campo di Fossoli e in seguito fu deportata ad Auschwitz con un convoglio (lo stesso su cui viaggiava Primo Levi) che partì il 22 febbraio 1944 e giunse ad Auschwitz il 26 dello stesso mese. Il trasporto viaggiava sotto la sigla RSHA e il numero dei deportati che è stato possibile identificare è 489. Secondo la documentazione conservata negli archivi del Museo di Auschwitz, 95 furono gli uomini che superarono la selezione per il gas all’arrivo mentre le donne furono 29. Di questi solamente 23 erano vivi alla fine della guerra. Luciana superò la selezione. Non conosciamo il numero di matricola che le venne assegnato, e non sappiamo nulla della sua vita all’interno del lager.

Luciana morì nel gennaio del 1945 in luogo ignoto.

 

Sergio Levi nacque il 3 febbraio 1930 a Torino, figlio di Alessandro e Garda Germana. Viveva coi genitori e la sorella Luciana in via Fratelli Carle 6. Fu arrestato a Torino il 15 febbraio 1944 insieme ai suoi familiari da reparti tedeschi. Venne detenuto nel campo di Fossoli e in seguito fu deportato ad Auschwitz con un convoglio (lo stesso su cui viaggiava Primo Levi) che partì il 22 febbraio 1944 e giunse ad Auschwitz il 26 dello stesso mese. Sergio superò la selezione iniziale, venne immatricolato con il numero 174513, e dichiarò il mestiere di scolaro. In seguito fu trasferito a Buchenwald dove arrivò il 26 gennaio 1945 e gli fu assegnato il numero di matricola 120699. Qui venne classificato “Pol Jude” (ebrei considerati anche oppositori politici).

Non conosciamo la data della sua morte, che avvenne presso il campo di concentramento di Flossenbürg.

 

Donato Giorgio Levi nacque a Torino il 16 luglio 1896 da Costanzo e Marianna Sacerdote. Sposato con Paola Aprile, abitava a Torino in via duchessa Jolanda 21 a Torino.

Venne arrestato il 28 febbraio 1944 da forze armate tedesche in quanto ebreo, quindi detenuto presso le Nuove di Torino. Trasferito al campo di Fossoli, venne in seguito deportato al campo di concentramento di Auschwitz. Donato fu tra coloro che parteciparono alle “marce della morte”: trasferimenti (avvenuti in condizioni durissime) di prigionieri verso campi di concentramento più a Ovest per evitare che fossero liberati dall’esercito sovietico in avanzata.

Donato Giorgio risulta deceduto presso il campo di concentramento di Mauthausen nel maggio 1945.

 

 

Franco Levi nacque a Dogliani (CN) il 7 gennaio 1910 da Daniele e Adele Terracini. Sposato con Marianna Cravero, abitava in corso Valentino 7 a Torino (attuale corso Marconi 7).

Di professione era avvocato. In quanto ebreo, con l’occupazione nazista dell’Italia seguita all’8 settembre 1943 si trovò a doversi nascondere per sfuggire all’arresto e alla deportazione. Venne arrestato da tedeschi a Torino nel settembre 1944. Trasferito in un primo tempo al campo di concentramento di Bolzano, il 24 ottobre 1944 venne deportato ad Auschwitz. Non sappiamo se Franco arrivò vivo ad Auschwitz, se superò la selezione iniziale e fu immatricolato oppure se fu ucciso al suo arrivo.

Franco morì in prigionia, in data ignota e in luogo sconosciuto, dopo il 24 ottobre 1944.

Sara Nina Levi in Vitale nacque a Torino il 18 agosto 1855 da Jacob e Rachele Segre. Vedova di Giuseppe Vitale, abitava con la figlia Gemma Vitale in corso Orbassano 14 a Torino (attuale corso Alcide De Gasperi 14).

In quanto ebrea, con l’occupazione nazista dell’Italia seguita all’8 settembre 1943 si trovò a doversi nascondere per sfuggire all’arresto e alla deportazione. Arrestata insieme alla figlia il 2 dicembre 1943, venne detenuta alle carceri Nuove di Torino e rilasciata in libertà l’11 dello stesso mese per motivazioni che restano da indagare. Venne nuovamente arrestata con la figlia il 23 maggio 1944, e trasferita in un primo tempo al campo Fossoli, per essere poi deportata al campo di concentramento di Auschwitz il 26 giugno, dove arrivò il 30 dello stesso mese.

Sara Nina non superò la selezione iniziale, e fu uccisa ad Auschwitz il 30 giugno 1944.

Gemma Vitale in Servadio nacque a Torino il 13 agosto 1878 da Giuseppe e Sara Nina Levi. Vedova di Cavour Servadio, abitava con la madre in corso Orbassano 14 a Torino (attuale corso Alcide De Gasperi 14).

In quanto ebrea, con l’occupazione nazista dell’Italia seguita all’8 settembre 1943 si trovò a doversi nascondere per sfuggire all’arresto e alla deportazione. Arrestata insieme alla madre il 2 dicembre 1943, venne detenuta alle carceri Nuove di Torino e rilasciata in libertà l’11 dello stesso mese per motivazioni che restano da indagare. Venne nuovamente arrestata con la madre il 23 maggio 1944, e trasferita in un primo tempo al campo Fossoli, per essere poi deportata il 26 giugno 1944 al campo di concentramento di Auschwitz, dove arrivò il 30 dello stesso mese.

Gemma non superò la selezione iniziale, e fu uccisa ad Auschwitz il 30 giugno 1944.

Lucia Beltrando nacque a Demonte in provincia di Cuneo il 13 dicembre 1902. Figlia di Maurizio Beltrando e Maria, Sterchel aveva due fratelli: Albino e Arturo.  Viveva in Via Garibaldi 31 a Torino e lavorava come sarta quando, insieme al fratello Arturo, prese la decisione di entrare a far parte della Resistenza. La loro attività da partigiani ebbe inizio nel settembre del 1943 all’interno della Formazione Matteotti. Il 17 novembre 1943 venne arrestata insieme al fratello Arturo e, con lui, condotta al Carcere Le Nuove di Torino. Qui vi rimase fino al 27 giugno 1944 quando, condotta alla stazione ferroviaria di Porta Nuova, venne caricata sul convoglio n. 57  secondo la numerazione data da Tibaldi con destinazione Ravensbrueck dove arrivò il giorno 30. Classificata con la categoria Pol., le venne assegnata la matricola 44141. Fu una delle deportate con il trasporto n. 57 a essere spostata a Schoenefeld, sottocampo di Ravensbrueck e successivamente di Sachsenhausen. Obbligata al lavoro forzato, il 20 aprile iniziò la marcia di sgombero verso Ravensbrueck. Insieme alle sue compagne fu liberata tre giorni dopo da una pattuglia russa. Lucia Beltrando riuscì a sopravvivere alla deportazione e rientrò a Torino il 15 settembre del 1945. Morì nel 1970 e, nonostante le infermità provocate dall’esperienza nei lager, non le venne riconosciuto alcun indennizzo.

 

Enzo Lolli, figlio di Camillo e Bice Jona e fratello di Corrado, Giuseppina e Ferruccio, nacque il 24 febbraio 1894 a Chiari (BS). Trasferitosi a Torino, si sposò con Emma Ester Treves da cui ebbe due figlie, Nedelia e Elda. Abitava con la famiglia in via Giacinto Collegno 45 a Torino.

Di formazione ingegnere idraulico, fu anche scrittore e filosofo (pubblicò il libro Il mondo come induzione neurica nel 1936). In seguito all’emanazione delle leggi razziali nell’autunno del 1938, la famiglia meditò di fuggire dall’abitazione, ma fu l’annuncio dell’entrata in guerra (10 giugno 1940), a spingerli a trovare rifugio nello sfollamento a Mezzenile, nelle Valli di Lanzo. Dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, Enzo decise di separare la famiglia nella speranza di salvare i suoi cari. La moglie e la figlia più grande vennero assunte come governanti e bambinaie, mentre Nedelia, di soli 13 anni, venne accolta a Salice d’Ulzio da amici di famiglia, Dalmiro e Verbena Costa, e successivamente dalle suore del Buon Pastore di Villa Angelica a Torino, dove già si nascondevano due sue cugine.

Enzo trovò rifugio nell’ufficio torinese dell’amico Dalmiro Costa, dove custodiva anche denaro e gioielli. Il 6 giugno 1944 fu arrestato da due fascisti o nazisti con suo fratello Corrado. Una volta arrestato, Corrado si era ingenuamente fidato della promessa di libertà dietro pagamento e portò i due carcerieri al nascondiglio del fratello Enzo, che fu a sua volta arrestato. Ambedue i fratelli Lolli furono portati alla Carceri Nuove di Torino e poi alle carceri di Milano. Dopo alcuni mesi, furono deportati ad Auschwitz su un treno partito il 2 agosto 1944 da Verona, insieme ad altri deportati di varia provenienza.

Il convoglio arrivò ad Auschwitz il 6 agosto: Corrado e suo fratello Enzo furono uccisi all’arrivo.

 

Corrado Lolli, il secondo di quattro fratelli - oltre a lui Enzo, Giuseppina e Ferruccio - nacque il 30 luglio 1895 a Torino da Camillo e Bice Jona. Abitava al numero 33 di corso Altacomba (l’attuale corso Svizzera). Da piccolo ebbe la poliomielite che lasciò il segno in un tremito che accompagnava i suoi movimenti. Unico tra i suoi fratelli a non laurearsi, nel 1932 prese la tessera del Partito Fascista che gli fu poi revocata in quanto ebreo, secondo le disposizioni delle leggi razziali del 1938. A un periodo di poco successivo risale l'insegnamento presso un istituto magistrale di Parenzo (città della Croazia all’epoca in territorio italiano). Le poche testimonianze su Corrado ci raccontano di come si fosse dedicato alla legatoria, tanto da aprire un piccolo studio. Dalla nipote Nedelia Lolli (figlia di Enzo) sappiamo che lo zio amava passare il suo tempo con la piccola, insegnandole a giocare a scacchi nella mansarda della casa paterna.

Con l’inizio delle persecuzioni razziali, la famiglia Lolli si divise per cercare di nascondersi. Non si hanno notizie sul luogo dove Corrado si nascose. Il 6 giugno 1944 Corrado fu scoperto e catturato, in circostanze ignote, da italiani o tedeschi, i quali gli promisero la libertà se avesse dato loro del denaro o dei gioielli. Corrado, con ingenuità, li portò al nascondiglio del fratello Enzo (nell’ufficio di un amico, l’ingegnere Dalmiro Costa) dove i due rubarono denaro e gioielli. Ambedue i fratelli Lolli furono portati alla Carceri Nuove di Torino e poi alle carceri di Milano. Dopo alcuni mesi, furono deportati ad Auschwitz su un treno partito il 2 agosto 1944 da Verona, insieme ad altri deportati di varia provenienza.

Il convogliò arrivò ad Auschwitz il 6 agosto: Corrado e suo fratello Enzo furono uccisi all’arrivo.

 

Vanda Maestro, di origine ebraica, nacque a Torino il 27 maggio 1919 da Cesare Maestro, proprietario di un negozio di stoffe in via Lagrange e Clelia Colombo; aveva un fratello Aldo (1911). La sua ultima residenza nota in Torino fu in Corso Guglielmo Marconi 11.

Dopo aver conseguito la maturità classica si laureò in chimica a Genova nell’anno accademico 1939-40. Nella biblioteca della scuola ebraica torinese instaurò legami d’amicizia con i fratelli Artom, Primo Levi, Franco Momigliano, Alberto Salmoni e l’affezionatissima Luciana Nissim. Le leggi razziali resero ardua se non impossibile la ricerca di un impiego ai ragazzi della biblioteca ed alcuni di essi, tra cui Vanda Maestro, si trasferirono a Milano dove furono aiutati da una cugina di Primo Levi, Ada Della Torre, la cui casa in via San Martino 7 divenne per loro centro di ritrovo, almeno fino all’estate del 1943 ed al bombardamento che distrusse l’abitazione.

Il 25 luglio del 1943 colse Vanda a Courmayeur, dove si trovava per una settimana di vacanza con Luciana Nissim. In seguito all’8 settembre 1943 raggiunse la famiglia Nissim in Valle d’Aosta dopo un tentativo fallito di raggiungere la frontiera svizzera.

Presso Amay, una frazione di Saint-Vincent, si formò un piccolo nucelo di resistenti legato al Partito d’Azione di cui fecero parte la stessa Vanda, Primo Levi, Luciana Nissim, Guido Bachi e Aldo Piacenza. Nonostante il carattere della giovane dottoressa in chimica fosse, come ricordato da chi la conobbe, timido e non incline ad atti di eroismo, essa portò a termine compiti di staffetta e di ricognizione tra le montagne. A causa dell’infiltrazione di un ufficiale dell’esercito inviato dal prefetto di Aosta, Cesare Augusto Carnazzi, nella formazione vicina, ad Arcesaz, il gruppo di Amay venne compromesso insieme ad altri  della zona e fatto oggetto di un rastrellamento; nella notte tra il 12 e il 13 dicembre 1943 Vanda venne arrestata insieme agli altri del gruppo. Al termine di un mese di detenzione trascorso presso la caserma di Aosta venne trasferita a Fossoli dove rimase dal 20 gennaio al 22 febbraio 1944, insieme a Primo Levi, Luciana Nissim e Franco Sacerdoti.

Vanda partì il 22 febbraio da Fossoli di Carpi con il convoglio n.8, secondo la numerazione indicata ne Il libro della memoria. Gli ebrei deportati dall’Italia (1943-1945) di Liliana Picciotto, il quale giunse ad Auschwitz il 26 dello stesso mese, viaggiando sotto la sigla RSHA (Reichssicherheitshauptamt, ovvero Direzione generale per la Sicurezza del Reich). Superarono la selezione iniziale 95 uomini e 29 donne cui furono assegnati rispettivamente i numeri da 174471 a 174565 e da 75669 a 75697. Per il trasporto, sono stati identificati 489 deportati di cui 23 risultarono sopravvissuti alla deportazione.

Secondo la testimonianza fornita a Luciana Nissim da Bianca Morpurgo, dottoressa triestina, anch’essa deportata a Birkenau, Vanda era ricoverata nell’infermeria del campo a causa della dissenteria e di una forma di tubercolosi polmonare particolarmente grave; la stessa Morpurgo riuscì a fornirle un tubetto di barbiturici per aiutarla a sopportare l’imminente fine che veniva riservata ai malati più gravi entrati nel Krankenbau (infermeria) di Auschwitz.

Vanda Maestro fu assassinata nella camera a gas di Birkenau il 30 ottobre 1944.

Enrico Mellano nacque il primo aprile 1902 a Costigliole d’Asti (AT). Visse a Torino in corso Spezia 55. Sposato con Emilia Bonetti (nata nel 1907), nel 1928 ebbe un figlio, Emanuele. Enrico era un operaio Fiat e lavorava a Mirafiori. Fu arrestato a Torino il 10 marzo 1944 in relazione agli scioperi organizzati nelle fabbriche. Partì il 16 marzo con un convoglio formatosi a Bergamo e giunse a Mauthausen il 20 marzo 1944. Ebbe come primo numero di matricola il 58982 e fu classificato con la categoria Schutz. Dichiarò di essere meccanico. Fu trasferito prima nel sottocampo di Gusen (Mauthausen) e poi a Schwechat-Floridsdorf (Mauthausen). Morì a Mauthausen il 28 aprile 1945.

Valentino Merlo nacque il 7 giugno 1889 a Rosta, in provincia di Torino, da Donato Merlo e Delfina Gilli. Abitava in via Breglio 38 e lavorava come operaio presso la FIAT-SIMA.

Risulta schedato nel Casellario Politico Centrale come comunista; un’annotazione sul fascicolo riporta: «denunciato per offese al capo del Governo». Nella scheda personale, conservata nel fondo Archivio per il servizio riconoscimento qualifiche e per le ricompense ai partigiani, Valentino Merlo viene indicato con la qualifica di caduto civile, «deportato in Germania per rappresaglia». Arrestato a Torino, venne deportato nel marzo 1944.

Viaggiò con il trasporto n.34 secondo la numerazione fornita da Italo Tibaldi nel libro Compagni di viaggio. Dall’Italia ai lager nazisti. I “trasporti” dei deportati 1943-45; il convoglio partì da Bergamo il 16 marzo 1944 e giunse a Mauthausen il 20 dello stesso mese, passando per Verona, Tarvisio, Villach. Il totale dei deportati risulta di 563, tutti identificati; 245 deportati provengono da Torino e 31 di essi sono operai Fiat, 157 arrivano invece da Milano, 34 da Genova e Savona, i restanti 127 dal territorio lombardo. Valentino Merlo venne classificato come Schutz (Schutzhäftling, “prigioniero in base alla normativa sulla custodia preventiva”) e gli fu assegnato il numero di matricola 58988; durante l’immatrizolazione dichiarò il mestiere di meccanico.

Venne inviato a Schwechat-Floridsdorf, sottocampo di Mauthausen nella Bassa Austria e successivamente trasferito nel Sanitaetslager.

Valentino Merlo risulta deceduto nell’Erholungsheim-Hartheim (Comune di Alkoven, distretto di Eferding) il giorno 29 settembre 1944. Una lapide nel giardino della Cascina Marchesa in corso Vercelli 141/3, precedentemente posizionata nello stabilimento in via Cuneo, lo ricorda insieme ad altri caduti delle Officine FIAT Grandi Motori. Numerose lapidi furono posizionate nelle aziende subito dopo la liberazione; alcune di esse, in seguito allo smantellamento degli impianti industriali, sono state ricollocate in luoghi pubblici.

 

Alberto Missaglia nacque a Torino il 10 settembre 1908, unico figlio di Paolo e Alessandra Salomone. Sposato con Emilia Riposio, con le figlie Enrica e Mariuccia viveva in corso principe Oddone 83 (attuale 21 dello stesso corso) a Torino.

Di famiglia antifascista (il padre era socialista), il suo impegno di lunga data si concretizzò, dal giugno 1944, con l’adesione alla Resistenza in collegamento con la banda Grandubbione che operava nel Pinerolese, col nome di battaglia “Berto”. Il suo impegno si attuò nella stampa di numeri clandestini de “L’Unità” (Alberto era iscritto al Partito Comunista) e nella realizzazione di documenti falsi utili alla Resistenza nella fotolitografia di famiglia. Arrestato a Torino il 20 agosto 1944 da forze armate repubblichine, dopo un periodo di detenzione in una caserma di Venaria Reale, venne trasferito alle Nuove e quindi all’Albergo Nazionale per interrogatori. Nonostante le torture, Alberto si assunse tutte le responsabilità scagionando il padre e non denunciando nessuno. Deportato quindi a Dachau, dove arrivò il 9 ottobre 1944, venne immatricolato col numero 113410, classificato nella categoria “Schutz” (prigioniero per motivi politici).


Alberto morì a Dachau il 15 aprile 1945. Il suo nome è ricordato anche nella lapide di piazza Benefica, che ricorda i partigiani caduti del quartiere “Cit Turin”.

Italo Momigliano nacque a Torino il 12 dicembre 1899 da Giuseppe e Leonilde Tersilla Segre. Dopo aver sposato Regina Jacob a Parigi, rientrò in Italia, dove nacque la figlia Silvana. Abitava con la famiglia in via Fontanesi 38 a Torino.

Ebreo, per sfuggire alle persecuzioni si rifugiò a San Sebastiano da Po. Venne però arrestato il 14 settembre 1944 da italiani. Detenuto alla caserma Lamarmora di via Asti e poi alle Nuove di Torino, venne quindi trasferito al campo di transito (Durchgangslager) di Gries-Bolzano, e di qui il 14 dicembre 1944 deportato a Flossenbürg, dove venne immatricolato col numero 40041. Con lui erano i suoi due fratelli Aldo e Dante, che morirono nel giro di nove giorni.

Trasferito a Bergen-Belsen tra l’8 e il 10 marzo del 1945, Italo vi morì in data ignota.

Pilade Momigliano nacque a Torino il 12 luglio 1880 da Pacifico e Decima Segre. Sposato con Emma Razzola, aveva il suo ufficio di rappresentante di commercio in corso Palestro 9 a Torino.

Ebreo, venne arrestato il 19 giugno 1944 da italiani. Detenuto in un primo tempo alle Nuove di Torino, venne quindi trasferito alle carceri di Milano. Fu deportato ad Auschwitz con un convoglio partito da Verona il 2 agosto 1944.

Pilade non superò la selezione iniziale, e fu ucciso a Auschwitz il giorno stesso del suo arrivo, il 6 agosto 1944. A Auschwitz era stata deportata anche la sorella di Pilade, Ester Tranquilla, abitante a Genova, che venne uccisa il giorno stesso del suo arrivo al campo, il 6 febbraio 1944.

Dante Momigliano nacque a Torino il 13 novembre 1897 da Giuseppe Momigliano e Leonilda Tersilla Segre. Ebbe due fratelli, Aldo e Italo. L’ultima sua residenza fu in via Fontanesi 38. In quanto ebreo, subì la persecuzione nazi-fascista. Fu arrestato il 25 settembre 1944 da italiani, a Torino, e trattenuto al carcere Le Nuove e poi trasferito nel campo di Bolzano. Da qui fu condotto a Flossenburg il 14 dicembre 1944. Fu registrato con la matricola 40059 e morì il 24 febbraio 1945.

Aldo Momigliano nacque il 12 maggio 1894 a Torino. Era figlio di Giuseppe e di Leonilda Tersilla Segre; era fratello di Dante e di Italo. Visse a Torino e qui, in quanto ebreo, venne arrestato nel marzo 1944 da italiani. Condotto nel carcere Le Nuove, fu poi condotto al campo di Bolzano. Da qui fu deportato il 14 dicembre 1944 al campo di Flossenburg. Venne registrato con la matricola 40058 e morì il 29 dicembre 1944.

Virginia Montalcini nacque a Torino il 12 ottobre 1920 da Eugenio e Adriana Fubini. Abitava con la famiglia in via Papacino 2 a Torino.

Studentessa del Liceo classico “Massimo D’Azeglio” di Torino, in seguito alle leggi razziali del 1938 fu costretta ad abbandonare gli studi presso l’istituto. In quanto ebrea, con l’occupazione nazista dell’Italia seguita all’8 settembre 1943 si trovò a doversi nascondere per sfuggire all’arresto e alla deportazione. Per questo motivo si trovava a Sondalo (SO), quando venne arrestata da italiani il 23 gennaio 1944. Detenuta in un primo tempo presso le carceri di Milano, il 30 gennaio 1944 venne deportata ad Auschwitz, dove arrivò il 6 febbraio.

Virginia non superò la selezione iniziale e venne uccisa ad Auschwitz il 6 febbraio 1944.

Virginia è ricordata da una Pietra d’inciampo in via Parini 8 a Torino, presso il Liceo classico dove studiò.

Franco Tedeschi nacque a Torino il 1° febbraio 1922 da Gualtiero e Emilia Bachi. Abitava con la famiglia in corso Galileo Ferraris 59 a Torino.

Studente del Liceo classico “Massimo D’Azeglio” di Torino, in seguito alle leggi razziali del 1938 fu costretto ad abbandonare gli studi presso l’istituto. In quanto ebreo, con l’occupazione nazista dell’Italia seguita all’8 settembre 1943 si trovò a doversi nascondere per sfuggire all’arresto e alla deportazione. Per questo motivo si trovava a Luino (VA), quando venne arrestato da tedeschi il 28 febbraio 1944. Detenuto in un primo tempo presso le carceri di Varese, venne quindi trasferito alle carceri di Como, quindi alle carceri di Milano e infine al campo di concentramento di Fossoli, da cui il 5 aprile 1944 venne deportato ad Auschwitz. Al suo arrivo superò la selezione iniziale e venne immatricolato. Venne in seguito trasferito al campo di concentramento di Mauthausen, dove venne immatricolato col numero 125702.

Franco morì a Mauthausen il 19 marzo 1945.

Franco è ricordato da una Pietra d’inciampo in via Parini 8 a Torino, presso il Liceo classico dove studiò.

Giovanni Annibale Francesco Montrucchio nacque a Torino il 1° novembre 1904 da Domenico Montrucchio e dalla sig.ra Fulchiari. Abitava in via Nizza n° 342 (l’attuale n° 340) ed era sposato con Maria Boccardo. Lavorava presso lo stabilimento Microtecnica, un’azienda di meccanica di precisione costituita nel 1929, in via Madama Cristina n° 149 .
Fu sempre molto attivo politicamente ed il suo antifascismo gli costò 5 anni di carcere tra il 1930 e il 1935; nel database del Casellario Politico Centrale, alla voce “colore politico”, viene dichiarato comunista e risulta denunciato al Tribunale speciale . Dopo l’8 settembre 1943 cominciò a spostarsi a più riprese tra Racconigi e Torino in un’intensa attività di raccolta fondi da destinare ai partigiani delle formazioni foranee tramite i collegamenti all’interno della Microtecnica . Fece parte della 1° Divisione Garibaldi 4a Brigata dal 9 settembre 1943 con il nome di battaglia “Boris” . Divenne membro del consiglio di fabbrica formatosi clandestinamente verso la fine del 1943, lo stesso che avrebbe avuto un ruolo di primo piano negli scioperi del marzo successivo. Montrucchio continuò a svolgere attività di collegamento, partecipando a riunioni clandestine e proseguendo l’opera di politicizzazione dei compagni.
Venne arrestato insieme al compagno Luigi Porcellana in occasione di un incontro clandestino presso la stazione Porta Nuova durante il quale i due partigiani avrebbero dovuto ritirare da una terza persona una somma di denaro proveniente dalla direzione della Microtecnica . Venne detenuto presso le Carceri Nuove e deportato insieme a Italo Tibaldi, autore del volume Compagni di viaggio. Dall’Italia ai lager nazisti. I “trasporti” dei deportati 1943-45, il quale ha fornito una testimonianza in cui compaiono sia Giovanni Montrucchio che Luigi Porcellana al momento del trasferimento dalle carceri alla Stazione di Porta Nuova.
Montrucchio viaggiò sul trasporto n. 18, secondo la numerazione indicata da Tibaldi, costituito da un solo carro bestiame, che, formatosi a Torino con detenuti provenienti dalle Nuove, partì il 13 gennaio 1944 diretto a Mauthausen, dove giunse il 14 dello stesso mese. I deportati furono 50, tutti identificati: i numeri di matricola assegnati erano compresi tra il 42.271 e il 42.320 . Giovanni Montrucchio venne classificato come Schutz (Schutzhäftling, “prigioniero in base alla normativa sulla custodia preventiva” ); gli venne assegnato il numero di matricola 42.294.
La Häftlings-Personal-Karte (carta di detenzione) del deportato riporta il triangolo rosso dei prigionieri politici e ne indica, tra le altre cose, la professione dichiarata di “Mechaniker” e il trasferimento nel sottocampo di Gusen.
Morì il 18 aprile 1945 a Mauthausen. Una lapide posizionata dal comune di Torino, in via Ventimiglia, nel ventennale della Liberazione lo ricorda insieme ad altri caduti del Lingotto.

Celestina nacque a Trino Vercellese (VC) il primo maggio 1870. Era figlia di Davide Muggia e di Consolina Segre. Sposò Elia Vittorio Sacerdote. In quanto ebrea, fu arrestata il 28 marzo 1944 a Casteldelfino (CN). Trattenuta nel carcere Le Nuove di Torino, transitò poi al campo di Fossoli. Da qui fu deportata il 16 maggio 1944 ad Auschwitz. Non superò la selezione e venne assassinata all’arrivo al campo, il 23 maggio 1944.

Luigi Nada nacque a Torino l’8 giugno 1910 da Michele Nada e Luigia Cavassa. Sposato con Cristina Bertinetto, visse con la famiglia in strada comunale di Bertolla 105 (l’attuale 9B della stessa strada) a Torino. Operaio presso la Fiat officina aeronautica, ebbe un ruolo negli scioperi del marzo 1944 e per questo motivo fu arrestato il 13 marzo 1944. Deportato a Mauthausen, vi arrivò il 20 marzo e fu immatricolato con il numero 59012 e classificato come “Schutz” (prigioniero per motivi politici). Dichiarò il mestiere di saldatore. Venne in breve trasferito nel sottocampo di Gusen e qui assassinato il 10 aprile 1944 in seguito a un tentativo di fuga. Scoperta la sua assenza al momento dell’appello, Luigi venne presto individuato, percosso e portato nella piazza dell’appello per subire una pena esemplare. Fu quindi finito per affogamento in un bidone d’acqua. Molti superstiti - fra i quali Ferruccio Maruffi, Quinto Osano, Nino Bonelli e Pio Bigo - ricordano quei momenti nelle loro memorie.

Eugenio Nizza, figlio di Leone e Adele Fubini nacque a Torino il 14 gennaio 1886. Sposato con Tersilia Pozzo, abitava a Torino in via Principe Tommaso 42 a Torino.

Venne arrestato il 20 giugno 1944 dalla coppia di razziatori di ebrei Soave e Fracchia, che agivano in rapporto con le SS per catturare ebrei destinati alla deportazione. Detenuto presso Le Nuove di Torino, fu successivamente trasferito nelle carceri di San Vittore di Milano, per poi essere deportato da Verona il 2 agosto 1944 con destinazione Auschwitz.

I dati sulla sua immatricolazione rimangono dubbi come anche le informazioni sulla data e il luogo del suo decesso, che avvenne in prigionia.

 

Umberto Nizza nacque a Torino il 20 agosto 1893 da Teodoro e Elena Ottolenghi. Abitava
con la famiglia in corso Vittorio Emanuele II 70 a Torino.
Di professione era ingegnere, ma in seguito alle leggi razziali del 1938 non poté
continuare a svolgere il suo lavoro. In quanto ebreo, con l’occupazione nazista dell’Italia
seguita all’8 settembre 1943 si trovò a doversi nascondere per sfuggire all’arresto e alla
deportazione. Venne arrestato a Torino il 3 novembre 1943 e in seguito trasferito a Milano.
Di qui fu deportato ad Auschwitz il 6 dicembre 1943, dove arrivò l’11 dicembre.
Non abbiamo ulteriori notizie di Umberto, che morì ad Auschwitz in data ignota.

Marco Norzi nacque a Torino l’8 settembre 1918 da Ercole Norzi e Marina Maroni. Di origine ebraica, abitava a Torino in Via Gaeta 18.

Ingegnere ed aspirante ufficiale della Marina, venne cacciato dall’Accademia Navale in seguito all’emanazione delle leggi razziali del 1938; il suo nome compare nell’elenco dell’annuario dell’Accademia, sotto la sigla GN (Genio Navale), per l’anno 1936-37 con il numero matricolare 463. Secondo le memorie familiari, l’esclusione comportò per lui un vero trauma arrivando a causargli una forma di diabete da stress. Stando al racconto di famiglia venne respinto alla frontiera svizzera durante il tentativo di raggiungere i propri parenti; all’origine della sua cattura potrebbe esserci un tradimento da parte di spie o guardie svizzere. Venne quindi arrestato a Gaggiolo in provincia di Varese il 19 dicembre 1943 da tedeschi. Detenuto presso il carcere di Varese, venne successivamente trasferito prima nel carcere di Como e poi a San Vittore, ultimo luogo di detenzione prima della deportazione.

Viaggiò sul convoglio n.6, secondo la numerazione fornita ne Il libro della memoria. Gli ebrei deportati dall’Italia (1943-1945) di Liliana Picciotto, formato a Milano e a Verona il 30 gennaio 1944 e destinato ad Auschwitz, dove giunse il 6 febbraio; il trasporto viaggiava sotto la sigla RSHA (Reichssicherheitshauptamt, ovvero Direzione generale per la Sicurezza del Reich). Dei 605 deportati presenti sul treno merci partito dal binario 21, al livello sotterraneo della Stazione Centrale, superarono la selezione iniziale 97 uomini e 31 donne che presero rispettivamente i numeri di matricola da 173394 a 173490 e da 75174 a 75204; 20 risultarono i sopravvissuti al termine della guerra.

Marco Norzi venne ucciso all’arrivo ad Auschwitz il 6 febbraio 1944.

Adua Nunes nacque a Livorno il 4 giugno 1902 da Vittorio e Margherita Servi. Sposata con Ernesto Funaro, viveva con la famiglia in via della Consolata 8 a Torino.

In quanto ebrea, con l’occupazione nazista dell’Italia seguita all’8 settembre 1943 si trovò a doversi nascondere per sfuggire all’arresto e alla deportazione. Venne arrestata il 20 marzo 1944 a Moncalieri, dove si era trasferita dopo che la casa di famiglia era stata distrutta dai bombardamenti. Venne deportata al campo di concentramento di Auschwitz in data sconosciuta, e in seguito trasferita al campo di concentramento di Dachau.

Adua morì a Dachau nel gennaio 1945.

 Remo Obbermito nacque a Torino il 5 settembre 1922 da Romolo e Domenica Scaglione.
Abitava con la famiglia in via Mazzini 33 a Torino.
Di professione impiegato, fu richiamato alle armi nel 3° reggimento di artiglieria Cremona.
Militare a Milano e quindi a Busto Arsizio, si impegnò in prima persona fornendo falsi
lasciapassare a persone ricercate per ragioni politiche o razziali. Per questo motivo,
rientrato a Torino presso la caserma Cernaia, nel 1943 venne arrestato e condotto alla
caserma di via Asti, dove fu torturato e condannato alla fucilazione.
Per l’intercessione di alcune ausiliarie, la sua pena venne in seguito commutata nella
deportazione in Germania
Remo morì in prigionia a Zöschen il 7 febbraio 1945.
Nell’ambito del Giorno della Memoria, il 27 gennaio 2014 Remo fu insignito della Medaglia
d’Onore alla memoria presso la prefettura di Torino.

Alfonso Ogliaro nacque il 30 maggio 1897 a Biella da una famiglia operaia. Abitava in via Gioberti 69 a Torino.

Rimasto orfano in giovane età, esercitò diversi mestieri (manovale, muratore, contadino, falegname) entrando a contatto con il mondo del lavoro e delle sue organizzazioni politiche (Partito socialista) e sindacali (Confederazione generale del Lavoro). Trasferitosi a Torino presso la direzione del Sindacato degli edili, continuò il suo impegno politico anche durante il ventennio di dittatura fascista, mantenendo contatti con antifascisti e fuoriusciti. Dopo l’8 settembre 1943, la sua attività clandestina venne individuata dalla polizia fascista e dalla Gestapo, che tra gennaio e marzo 1944 procedettero a molti arresti tra gli esponenti del CLNRP (Comitato di liberazione nazionale regionale del Piemonte). Il 9 marzo, nell’ambito di un’operazione di repressione contro partecipanti e organizzatori degli scioperi operai del marzo 1944, Alfonso venne arrestato a Torino insieme alla segretaria, Nuccia Adamo, e al compagno socialista Filippo Acciarini: i due uomini vennero poi tradotti a Milano e imprigionati a San Vittore. Il 25 aprile 1944, Alfonso fu trasferito nel campo di Fossoli, per poi essere deportato il 21 giugno con un convoglio di 475 deportati. Arrivato a Mauthausen, il 24 giugno venne immatricolato col numero 76483, classificato sotto la categoria “Schutzhaft” (prigioniero per motivi politici) e dichiarò la professione di industriale. Subì diversi trasferimenti nei sottocampi di Mauthausen: prima Grossramming e quindi, dopo il mese di agosto, Schlier Redl-Zipf, in ultimo Gusen.

Alfonso morì in una data incerta, tra il 20 febbraio e il 20 marzo 1945.

 

Renato Ortona nacque a Torino l’8 ottobre 1915 da Attilio e Lina De Benedetti. Sposato con Silvia Bellina Jona, viveva con la famiglia in via Saluzzo 19 a Torino.

Ebreo, venne arrestato il 3 febbraio 1944 da tedeschi. Detenuto in un primo tempo alle Nuove di Torino, venne quindi trasferito al campo di Fossoli. Fu deportato ad Auschwitz con un convoglio partito da Fossoli il 22 febbraio 1944 e che arrivò il 26 febbraio successivo. Venne immatricolato col numero 174536.

Renato morì ad Auschwitz il 5 maggio 1944.

Marco Ottolenghi nacque a Torino il 16 marzo 1878 da Salvatore e Bona Segre. Sposato con Marianna Cravero, abitava in via San Quintino 30 a Torino.

Di professione era manovale. In quanto ebreo, con l’occupazione nazista dell’Italia seguita all’8 settembre 1943 si trovò a doversi nascondere per sfuggire all’arresto e alla deportazione. Venne arrestato a Torino il 26 agosto 1944 e trasferito in un primo tempo al campo di concentramento di Bolzano, da dove il 24 ottobre 1944 venne deportato ad Auschwitz, che raggiunse il 28 dello stesso mese. Al suo arrivo, superò la selezione iniziale e venne immatricolato.

Marco era vivo alla liberazione del campo di concentramento di Auschwitz il 27 gennaio 1945, ma non poté sopravvivere alle conseguenze del terribile trattamento subito in prigionia, e vi morì il 3 marzo 1945.

Felice “Felicino” Ottolenghi nacque a Torino il 1 giugno 1911 da Silvio e Albertina Moscato. Felicino abitava al numero 10 dell’attuale via Gramsci (all’epoca chiamata via XXIV maggio) a Torino.

Felicino viene descritto da Aldo Zargani in Per violino solo come “altissimo, bellissimo, Nizza Cavalleria, elmo dorato e cimiero d’argento”, e come molto coraggioso al limite dell’incoscienza, tanto da frequentare regolarmente – lui ebreo – i caffè alla moda di piazza Carlo Felice nell’autunno 1943 (mentre il divieto di ingresso datava dalle leggi razziali del 1938 e, al contempo, era ormai di pubblico dominio la notizia delle deportazioni in Germania per gli ebrei). Arrestato il 4 ottobre 1943 da forze armate tedesche, venne a lungo torturato perché rivelasse il nascondiglio del ricco padre Silvio, che poté evitare la deportazione anche grazie al silenzio del figlio. Detenuto in un primo tempo presso le carceri Nuove di Torino, venne in seguito trasferito alle carceri di Milano. Di qui venne deportato ad Auschwitz con il convoglio che partì il 6 dicembre 1943 e che arrivò l’11 dello stesso mese. Al suo arrivo superò la selezione iniziale e venne immatricolato.

Felicino morì ad Auschwitz dopo il dicembre 1944.

Giacomo Ottolenghi nacque ad Acqui Terme l’11 o il 12 febbraio 1897 da Benedetto e Emilia Lattes. Abitava con la famiglia in corso Sommeiller 25 a Torino (attuale numero 35 dello stesso corso).

Avvocato, di professione era industriale nel campo tessile. In quanto ebreo, con l’occupazione nazista dell’Italia seguita all’8 settembre 1943, si trovò a doversi nascondere per sfuggire all’arresto e alla deportazione. Venne arrestato con il fratello Giorgio l’11 dicembre 1943 a Torino. Detenuto in un primo tempo alle carceri Nuove di Torino, venne in seguito trasferito alle carceri di Milano, da dove venne deportato al campo di concentramento di Auschwitz il 30 gennaio 1944.

Non abbiamo ulteriori notizie di Giacomo, che morì in prigionia ad Auschwitz in data ignota, dopo il febbraio 1944.

Giorgio Ottolenghi nacque ad Acqui Terme il 4 ottobre 1909 da Benedetto e Emilia Lattes. Abitava con la famiglia in corso Sommeiller 25 a Torino (attuale numero 35 dello stesso corso).

Laureato in scienze commerciali, in quanto ebreo, con l’occupazione nazista dell’Italia seguita all’8 settembre 1943, si trovò a doversi nascondere per sfuggire all’arresto e alla deportazione. Venne arrestato con il fratello Giacomo l’11 dicembre 1943 a Torino. Detenuto in un primo tempo alle carceri Nuove di Torino, venne in seguito trasferito alle carceri di Milano, da dove venne deportato al campo di concentramento di Auschwitz il 30 gennaio 1944.

Non abbiamo ulteriori notizie di Giorgio, che morì in prigionia ad Auschwitz in data ignota, dopo il febbraio 1944.

Emma Bona Ottolenghi nacque ad Acqui Terme, in provincia di Alessandria, l’1 dicembre del 1866 da Maurizio e Speranza Ottolenghi. Di origine ebraica, era sposata con Donato Colombo con il quale ebbe un’unica figlia che si chiamava Lia.  Emma Ottolenghi viveva a Torino con la sua famiglia in Via Santa Teresa 24, in un edificio accanto Piazza Solferino e Via Pietro Micca che fu bombardato nel 1943 e che, gravemente danneggiato, venne in seguito abbattuto per essere sostituito con un grattacielo oggi noto come Torre Solferino o «casa alta». Ritenendo ormai troppo pericoloso continuare a vivere a Torino sia per paura di essere arrestati in quanto ebrei, sia per il costante pericolo dei bombardamenti, la famiglia decise di lasciare Torino con l’obiettivo di trovare una migliore e più sicura sistemazione. La figlia Lia, con l’aiuto di alcuni amici, riuscì a trovare una sistemazione a Milano dove visse con il falso nome di Giuseppina  Gilardoni. I suoi genitori, Emma Cottolenghi e Donato Colombo decisero, invece, decisero di rifugiarsi a Sanremo. Sperando di non essere notati e di non destare alcun sospetto per il fatto che il cognome Colombo fosse molto comune in Liguria, decisero di alloggiare in un albergo che, secondo alcuni documenti ritrovati dai discendenti, sembrerebbe essere stato l’Albergo Paradiso. Tuttavia, per una sfortunata serie di eventi, i due coniugi ben presto si ritrovarono tra gli ebrei rastrellati a Sanremo alla fine del 1943, precisamente il 25 novembre. Emma Ottolenghi venne quindi arrestata nella predetta data da soldati tedeschi che la condussero al carcere di Genova. Successivamente trasferita al carcere di Milano, il 6 dicembre venne prelevata da San Vittore e caricata su uno dei carri bestiame in partenza dalla Stazione Centrale di Milano, con destinazione Auschwitz. Si tratta del Trasporto n. 12 secondo la numerazione data da Picciotto,  il cui convoglio venne formato a Milano e Verona. Si trattò della prima deportazione con destinazione Auschwitz. Qui arrivò l’11 dicembre. Emma Ottolenghi non sopravvisse alla deportazione e venne uccisa all’arrivo.

 

Lucio Pernaci nacque il 16 gennaio 1900 a Caltanissetta da Michele e Giuseppa. Sposato con Adele Garlisi, abitava in corso Regio Parco 35 a Torino.

Ferroviere in Sicilia, perse il lavoro nel 1927 per il suo rifiuto di prendere la tessera del Partito fascista. Si trasferì quindi a Torino dove trovò lavoro presso la Fiat Ferriere. Lucio partecipò agli scioperi del marzo 1944 e per questo motivo venne chiamato in questura. Convinto che si trattasse di ricevere notizie dei figli sfollati in Abruzzo, e di cui non aveva più notizie a causa dei combattimenti nella penisola, venne invece arrestato. Venne deportato a Mauthausen, dove arrivò l’11 marzo 1944 e fu immatricolato con il numero 57336.  Venne classificato sotto la categoria “Schutz” (prigioniero per motivi politici) e dichiarò il mestiere di muratore.

 

Lucio morì il 27 giugno 1944 a Gusen, un sottocampo di Mauthausen.

 

Claudio Pescarolo nacque a Torino il 19 maggio 1920 da Umberto Pescarolo ed Ernesta Sestrieri. Abitava in Piazza Statuto n° 13 a Torino . Apparteneva alla comunità ebraica torinese; soprannominato “Parin”, lavorava in un negozio che trattava la vendita di salami d’oca, libri di preghiera e oggetti religiosi in via San Francesco da Paola angolo via Maria Vittoria. Al termine della guerra il negozio divenne la Macelleria De Andrea-Gambotto.
Venne arrestato il 24 giugno 1944 da italiani ed in seguito affidato ai tedeschi che ne disposero la deportazione. Venne detenuto prima nel carcere di Torino e successivamente a Milano. Viaggiò sul convoglio n.14 secondo la numerazione indicata ne Il libro della memoria. Gli ebrei deportati dall’Italia (1943-1945) di Liliana Picciotto, partito da Verona il giorno 2 agosto 1944 diretto ad Auschwitz, dove giunse il 6 agosto 1944.
I convogli n. 14, 15, 16, 17 partirono da Verona e quindi dal territorio di diretta competenza della R.S.I (Repubblica Sociale Italiana). Si trattò di un trasporto multiplo che partì il 2 agosto 1944 con deportati di varia provenienza; nella città veneta vennero aggregati gruppi provenienti da Milano, Genova e Torino in attesa della deportazione. Il trasporto fu diviso lungo il tragitto in vari convogli che vennero indirizzati ad Auschwitz (6 agosto - convoglio n.14), Buchenwald il (4 agosto - convoglio n.15), Ravensbrück (5 agosto - convoglio n.16) e Bergen Belsen (5 agosto - convoglio n.17) . Non essendo conservate le Transportlisten non è noto il numero totale dei deportati, tuttavia, le ricerche del CDEC (Fondazione Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea) hanno portato all’identificazione di 333 nominativi, 244 dei quali relativi al convoglio diretto ad Auschwitz per il quale si contarono, dopo la guerra, 29 reduci. Il convoglio n. 14, quello che coinvolse Claudio Pescarolo, era destinato a trasportare gli “ebrei a tutti gli effetti” e viaggiava sotto la sigla RSHA (Reichssicherheitshauptamt, ovvero Direzione generale per la Sicurezza del Reich) . I convogli n. 15, 16 e 17 invece furono destinati rispettivamente a: a) uomini figli di matrimonio misto, b) donne figlie di matrimonio misto, c) coniugi di matrimonio misto. Nel trasporto giunto ad Auschwitz il 6 agosto si contano circa 300 persone; i numeri di matricola da B-5.594 a B-5673 vennero assegnati a 80 ebrei italiani, da 83.018 a 83.040 a 23 ebree italiane, mentre i numeri da 190.841 a 190.844 riguardano 4 detenuti internati da Verona.
Claudio Pescarolo risulta deceduto in luogo ignoto dopo il 22 gennaio 1945.
Il Dottor Giovanni Chiarini, ricercatore presso l'Institute for International Peace and Security Law dell'Università di Colonia, dipartimento di diritto penale internazionale, ha trovato un segno del passaggio di Claudio Pescarolo in un ex prigione nazista; il suo nome appare inciso in una cella delle prigioni della Gestapo nella Nordrhein-Westfalen a Colonia.

La nascita di Luigi Porcellana è incerta: nacque il 15 o 25 marzo 1908 oppure il 15 marzo 1898 a Torino, figlio di Maddalena Durando e Giovanni Porcellana. Abitava in Corso Casale 10 a Torino.

Venne arrestato a Torino nel novembre del 1943 poiché attivo nelle prime formazioni Garibaldi operanti nel pinerolese. Trasferito presso il carcere Le Nuove, fu deportato a Mauthausen con un convoglio partito da Torino, composto da un solo carro bestiame e partito dalla Stazione di Porta Nuova il 13 gennaio 1944 che giunse in Lager il giorno successivo. Gli venne assegnato il numero di matricola 42301 e fu classificato con la categoria Pol. Luigi venne prima trasferito a Schwechat-Floridsdorf, sottocampo di Mauthausen, poi di nuovo nel campo centrale e infine nell’Erholungsheim-Hartheim.

Luigi morì nel campo di Hartheim il 29 aprile o il 29 settembre 1944.

La data di nascita del 1909 è incisa sulla pietre per volontà e su richiesta della famiglia.

Rosetta Rimini nacque a Venezia il 9 agosto 1891 da Girolamo e Giulia Ancona. Sposata con Aristide Tedeschi e madre di Lidia “Pucci” Tedeschi, abitava con la famiglia in via Aurelio Saffi 13 a Torino.

Quando il 27 ottobre 1943 la figlia Lidia venne arrestata da componenti delle Brigate nere e portata al comando delle SS dell’Hotel Nazionale, Rosetta accorsa per cercare di salvarla e venne arrestata a sua volta. Detenuta presso Le Nuove di Torino, venne poi trasferita nelle carceri di San Vittore a Milano. Venne deportata da Milano il 6 dicembre, con un convoglio che viaggiava sotto la sigla RSHA e aveva come destinazione Auschwitz, dove arrivò l’11 dicembre 1943.

Rosetta non superò la selezione iniziale e venne uccisa al suo arrivo nel campo.

 

Lidia Tedeschi, detta “Pucci”, nacque a Torino il 29 gennaio 1925 da Girolamo e Rosetta Rimini, con i quali abitava in via Aurelio Saffi 13 a Torino.

Ebrea, venne arrestata il 27 ottobre 1943 da componenti delle Brigate nere e portata al comando delle SS dell’Hotel Nazionale. Lo stesso giorno venne arrestata anche la madre, che era accorsa per cercare di salvarla. Detenuta presso Le Nuove di Torino, venne poi trasferita nelle carceri di San Vittore a Milano. Venne deportata da Milano il 6 dicembre, con un convoglio che viaggiava sotto la sigla RSHA e aveva come destinazione Auschwitz, dove arrivò l’11 dicembre 1943.

Lidia morì subito dopo la liberazione, avvenuta il 27 gennaio 1945.

 

Enrichetta Zeffira Anna Rimini nacque a Donnaz il 25 settembre 1887, nella valle d’Aosta sudorientale da Augusto Rimini, Ispettore delle ferrovie di Stato ed Elena Sacerdote.
Domiciliata presso la Pensione Europa in Piazza Castello 99, ebrea, di professione benestante secondo i documenti anagrafici conservati nell’Archivio Storico della Città di Torino. Si sposò con Abramo Fubini l’11 giugno 1914 e con lui ebbe un figlio, Mario Augusto Fubini.
Venne arrestata insieme al figlio alla frontiera italo-svizzera (Varese) il 15 dicembre 1943 da italiani e detenuta nel carcere di Varese; successivamente venne trasferita a Milano presso il carcere di San Vittore.
Fu deportata dal convoglio n. 6, secondo la numerazione indicata ne Il libro della memoria. Gli ebrei deportati dall’Italia (1943-1945) di Liliana Picciotto, formato a Milano e a Verona, il 30 gennaio 1944; il trasporto viaggiava sotto la sigla RSHA (Reichssicherheitshauptamt, ovvero Direzione generale per la Sicurezza del Reich) e giunse ad Auschwitz il 6 febbraio 1944. Italo Tibaldi, nel libro Compagni di viaggio. Dall’Italia ai lager nazisti. I “trasporti” dei deportati 1943-45, indica il trasporto con il numero 24.
Secondo quanto riportato da Danuta Czech in Kalendarium. Gli avvenimenti nel campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau. Gennaio – Giugno 1944, giunsero con il convoglio 700 ebrei; successivamente alla selezione vennero immatricolati 97 uomini con numeri da 173.394 a 173.490 e 31 donne con numeri da 75.714 a 75.204 mentre le altre 572 persone vennero uccise nelle camere a gas.
Enrichetta Rimini non è sopravvissuta alla Shoah, la data di morte presunta è indicata il 31 gennaio 1944.

Giovanni Roncaglio nacque a Soncino (CR) il 15 aprile 1902 da Gerolamo Roncaglio e Stefana Asperio. Sposato con Giovanna Savergnini, abitava con la famiglia in via Onorato Vigliani 710 a Torino (attuale 172 della stessa via). Antifascista di vecchia data, il suo impegno politico l’aveva portato a spostarsi a Torino nel 1929 con la famiglia per tentare di sfuggire alle persecuzioni e alle difficoltà lavorative. Di professione panettiere, dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943 aveva rinnovato il suo impegno aderendo alla Resistenza, e fu membro dall’ottobre 1944 della SAP (Squadra di azione patriottica) Cavour, della quale fece parte anche il figlio Alessandro (1927). Arrestato da italiani il 14 gennaio 1945 grazie a una delazione insieme ai compagni e al figlio, fu detenuto in un primo tempo alle carceri Nuove di Torino, quindi trasferito a Verona e infine deportato al campo di concentramento di Mauthausen, dove arrivò il 4 febbraio 1945. Al suo arrivo, Giovanni ricevette la matricola 126399. Dichiarò il mestiere di fornaio e classificato come “Schutz” (prigioniero per motivi politici). Poco dopo, il 17 febbraio, fu trasferito a Gusen, sottocampo di Mauthausen, dove morì il 26 marzo 1945. Il figlio Alessandro, anch’egli deportato a Mauthausen, sopravvisse e fu liberato.

Gino Rossi nacque a Venezia il 18 agosto 1884 da Pellegrino e Estella Maestro. Sposato con Teresa Chiorino, viveva in corso Marconi 38 a Torino.

Il 17 aprile 1944 venne individuato con l’inganno e arrestato. Renato Fracchia di Spinetta Marengo, razziatore di ebrei, di casa all’Albergo Nazionale dove era acquartierata la polizia delle SS, promise alla moglie di Gino documenti falsi in cambio di diecimila lire, ma appena la donna sborsò la somma, Fracchia e il suo compare Soave catturarono Gino oltre a razziare altri oggetti in casa. Dalle carceri Nuove di Torino dove fu imprigionato, Gino venne trasferito nel campo di Fossoli, per poi essere deportato a Auschwitz da Verona il 2 agosto dello stesso anno. Il convoglio comprendeva diversi vagoni, destinati a diversi campi di concentramento: Gino era sul vagone 14, che viaggiava sotto la sigla RSHA ed era stato destinato agli ebrei con destinazione Auschwitz. Il Centro di documentazione ebraica contemporanea ha identificato 333 deportati di quel convoglio, di cui 96 sopravvissuti.

Gino fu ucciso all’arrivo ad Auschwitz il 6 agosto 1944.

 

Luigi Rosso nacque a Torino il 12 novembre 1903 da Giuseppe e Giovanna Miolis. Sposato con Emilia Maletto, abitava con la moglie in via Carlo Matteucci 2 a Torino.

Di professione era stampatore. Non abbiamo notizia di un suo impegno diretto nella Resistenza e non conosciamo molto delle motivazioni del suo arresto. Una della ipotesi, da verificare, è che l’imputazione sia stata di natura politica e che possa essere legata alla sua professione di stampatore. Arrestato il 30 settembre 1944, venne inizialmente trasferito al campo di Bolzano, dove fu immatricolato col numero 5463 e destinato al Blocco A. Il 14 dicembre 1944 venne deportato al campo di concentramento di Mauthausen, dove arrivò il 19 dello stesso mese e fu immatricolato col numero 114093. Dichiarò la professione di stampatore e venne classificato come “Schutz” (prigioniero per motivi politici). In un momento successivo venne trasferito a Melk, sottocampo di Mauthausen.

Luigi morì a Melk il 26 febbraio 1945.

Marianna Sacerdote nacque a Torino l’8 gennaio 1874 da Raffaele Sacerdote e Terracini Rosalia. Coniugata con Levi Costanzo, abitava a Torino in via Amedeo Avogadro 19.

Ebrea, venne arrestata a Chieri il 28 febbraio 1944 da reparti tedeschi e detenuta presso il carcere Le Nuove di Torino. Fu poi trasferita al campo di Fossoli di Carpi in provincia di Modena da dove venne deportata ad Auschwitz. Il trasporto, che viaggiava sotto la sigla RSHA, partì da Fossoli il 5 aprile 1944 e arrivò ad Auschwitz il 10 successivo. A Mantova e Verona furono annessi altri vagoni (componevano il convoglio num.9). Il numero di deportati identificato è di 611 e secondo i documenti conservati nell’Archivio del Museo di Auschwitz, gli uomini immatricolati dopo aver superato la selezione sono 154 mentre le donne 80. I reduci risultano essere 51.

Marianna fu tra le donne che non superarono la selezione e fu uccisa al suo arrivo nel lager il 10 aprile 1944.

Giorgio Sacerdote nacque a Torino il 24 maggio 1887 da Salvatore e Adele Bona Vita Levi. Sposato con Amalia Micheletto, abitava con la famiglia in corso Vinzaglio 2 a Torino.

Ebreo, venne arrestato a Torino il 29 aprile 1944. Detenuto alle Nuove di Torino, Giorgio venne quindi trasferito a Fossoli. Il 2 agosto 1944 fu infine deportato da Verona su un convoglio diretto a Auschwitz, dove arrivò il 6 agosto 1944.

Non abbiamo notizie certe sul suo destino una volta arrivato al campo: se sia stato selezionato per la camera a gas oppure se sia stato immatricolato e sia morto in seguito. Giorgio morì in prigionia in luogo ignoto e in una data sconosciuta.

Teodoro Sacerdote nacque a Torino il 18 gennaio 1859 da Aronne e Rachele Nizza.
Sposato con Rosetta Fubini, abitava con la famiglia in corso Fiume 17 a Torino.
In quanto ebreo fu colpito dalle leggi razziali del 1938 e, con l’occupazione nazista
dell’Italia seguita all’8 settembre 1943, si trovò a doversi nascondere per sfuggire
all’arresto e alla deportazione. Venne arrestato con la moglie il 17 aprile 1944 ad Alassio in
provincia di Savona, nel pensionato di suore dove si erano rifugiati per sfuggire alle
persecuzioni. Venne trasferito nel campo di Fossoli.
Teodoro morì in prigionia a causa di una broncopolmonite l’8 giugno 1944 nel campo di
Fossoli.

Rosetta Fubini nacque a Torino il 24 luglio 1866 da Aronne e Enrichetta Nizza. Sposata
con Teodoro Sacerdote, abitava con la famiglia in corso Fiume 17 a Torino.
In quanto ebrea fu colpita dalle leggi razziali del 1938 e, con l’occupazione nazista
dell’Italia seguita all’8 settembre 1943, si trovò a doversi nascondere per sfuggire
all’arresto e alla deportazione. Venne arrestata con il marito il 17 aprile 1944 ad Alassio in
provincia di Savona, nel pensionato di suore dove si erano rifugiati per sfuggire alle
persecuzioni. Venne trasferita nel campo di Fossoli e quindi deportata nel campo di
concentramento di Auschwitz il 26 giugno 1944.
Rosetta venne uccisa al momento del suo arrivo a Auschwitz, il 30 giugno 1944.

Franco Gallina nacque a San Germano Vercellese il 22 ottobre 1925 da Luigi e Felicita
Marchetti.
Trasferitosi a Torino per lavoro, abitava in via Parma 24 a Torino.
Durante la seconda guerra mondiale, venne richiamato sotto le armi. Nell’ambito
dell’occupazione militare tedesca dell’Italia seguita all’8 settembre 1943, venne arrestato a
Vettigné in provincia di Vercelli durante un rastrellamento alla fine del maggio 1944.

Trasferito nelle carceri di Vercelli, quindi in quelle di Torino e poi di Milano, venne
deportato in Germania nel campo di Bitterfeld.
Franco sopravvisse e rientrò in Italia il 9 giugno 1945. Gli fu in seguito riconosciuta la
qualifica di civile reduce della deportazione e dell’internamento.

Bice nacque il 21 settembre 1893 a Moncalvo (AT). Era figlia di Elia Vittorio e di Celeste Muggia. Si sposò con Marco Tedeschi. In quanto ebrea, venne arrestata il 28 marzo 1944 dai tedeschi a Casteldelfino (CN). Rinchiusa nel carcere Le Nuove di Torino, transitò poi nel campo di Fossoli. Da qui fu deportata il 16 maggio 1944 ad Auschwitz. Non superò la selezione iniziale e fu uccisa all’arrivo; morì il 23 maggio 1944.

Tranquillo Sartore nacque a Giaveno il 27 settembre del 1904 da Giovanbattista Sartore e Felicita Salato. Tranquillo si sposò con Petronilla Scala dalla quale ebbe cinque figli. Lavorò come operaio presso lo stabilimento della Fiat Ferriere di Torino.
La commissione Regionale Piemontese per l’accertamento delle qualifiche partigiane nel dopoguerra (1946) dichiarò Tranquillo Sartore partigiano caduto, in quanto membro di una SAP attiva in città.
Partecipò agli scioperi del marzo del 1944 e fu catturato il 4 marzo per motivi di pubblica sicurezza alla ripresa del lavoro in fabbrica: insieme a lui furono arrestati 78 lavoratori Fiat. Il 5 marzo venne imprigionato presso le Carceri Nuove di Torino e il giorno successivo fu consegnato al comando tedesco. Trasferito a Fossoli, un paio di giorni dopo fu deportato con il convoglio 32 dell’elenco Tibaldi. Il treno che lo trasportò era partito da Firenze, raccolse altri deportati a Fossoli e a Verona – per un totale di 597 persone – giungendo a Mauthausen l’11 marzo. I deportati provenienti da Torino erano 100; tra i 78 lavoratori della Fiat i superstiti alla liberazione furono 13; i superstiti dell’intero trasporto ancora in vita nel 1984 erano 53. All’arrivo al campo di concentramento di Mauthausen, Tranquillo fu classificato con la categoria Schutz (prigioniero politico) e gli fu assegnato il numero di matricola 57398. Al momento della registrazione dichiarò il mestiere di operaio; fu trasferito a Zement-Ebensee, sottocampo di Mauthausen, dove morì il 6 aprile del 1944 alle ore 14 per pleurite, polmonite e problemi della circolazione come risulta dal registro dei decessi del campo di Mauthausen. Le sue ceneri si trovano al cimitero Lepetit di Ebensee.

Gina Sbrana nacque a Genova il 31 luglio 1915 da Armando Sbrana e Nella della Rocca. Era sposata con Gugliemo Laras, il quale dopo l’8 settembre 1943 prese parte alla lotta di liberazione, militando prima nella II^ Divisione Garibaldi Piemonte e successivamente nella Divisione Italo Rossi; avevano un figlio, Giuseppe Laras, nato nel 1935. Di origine ebraica, Gina Sbrana era una casalinga, risultava domiciliata in via Orto Botanico 26.

Venne arrestata a Torino lunedì 2 ottobre 1944 in seguito alla delazione effettuata nei confronti della madre, Nella Della Rocca, da parte della portinaia del palazzo dove questa risiedeva, in via Madama Cristina 18. Autori dell’arresto furono due appartenenti alle SS italiane; nonostante il mandato di cattura riguardasse la sola Nella Della Rocca i militari fermarono la stessa Gina e il figlioletto Giuseppe che si trovavano con lei. Le due donne cercarono di corrompere i militari, chiedendo loro, una volta in strada, di lasciar fuggire il bambino. Le SS parvero accettare l’accordo, eppure giunti al punto prestabilito non manifestarono l’intenzione di liberare il piccolo Giuseppe Laras che riuscì comunque a divincolarsi e a fuggire per le vie della città. Gina Sbrana venne detenuta nel carcere di Torino ed in seguito trasferita a Bolzano il 24 ottobre 1944.

Venne deportata da Bolzano-Gries il 14 dicembre 1944 dal convoglio n.19, secondo la numerazione fornita ne Il libro della memoria. Gli ebrei deportati dall’Italia (1943-1945) di Liliana Picciotto e giunse a Ravensbrück il 20 dello stesso mese. Nel libro di Italo Tibaldi, Compagni di viaggio. Dall’Italia ai lager nazisti. I “trasporti” dei deportati 1943-45, il trasporto viene indicato con il numero 112. Non si conosce il numero esatto dei deportati: risultano identificati in 31, dei quali 3 sopravvissuti al momento della liberazione.

Non si hanno notizie relative al numero di matricola assegnato a Gina Sbrana; ella risulta deceduta a Ravensbrück il 2 gennaio 1945

Luigi Scala era originario di Forlì, dove era nato il 20 luglio 1905. A Torino frequentò la facoltà di Scienze Naturali e dopo la laurea divenne assistente della materia presso quell'ateneo. Antifascista, insieme a Mario Andreis e ad Aldo Garosci fondò il primo nucleo cittadino di Giustizia e Libertà che diede vita al foglio “Voci d’officina”, stampato dal settembre-ottobre del 1931. Scoperti dalla polizia, Scala fu processato dal Tribunale Speciale e nell’aprile 1932 fu condannato a 8 anni di detenzione. Scarcerato per condono tre anni dopo, fu nuovamente arrestato nell’ottobre 1936 per propaganda a favore della Spagna repubblicana. Fu condannato, il 20 marzo 1937, a dodici anni di reclusione. Fu liberato dal carcere di Castelfranco Emilia soltanto alla fine dell’agosto 1943. Scala tornò a Torino e qui, con il fratello Giancarlo, militò nel Partito d’Azione ed entrò nel Comando regionale GI (nome di battaglia 'Gigi'). Fu arrestato dai tedeschi il 2 dicembre 1943, insieme con la cugina Marisa Scala. Venne trattenuto al carcere Le Nuove e il 18 febbraio 1944 fu deportato a Mauthausen (con lui erano anche Germano Facetti, Aldo Carpi, Terenzio Magliano). Giunse nel campo di concentramento il 21 febbraio 1944; classificato come Schutz, numero di matricola il 53455, dichiarò di essere dottore in scienze naturali. Alla liberazione del campo, si trovava nel Revier. Sopravvisse al campo ma morì per i postumi della prigionia il 21 luglio 1945 nella clinica Sanatrix.

Felice Scaringella nacque a Corato (BA) il 4 gennaio 1907 da Vincenzo e Isabella Pellegrino. Sposato con Ines Saragaglio, abitava con la famiglia in via Borg Pisani 29 a Torino.

Di professione operaio presso la SPA di Torino, e dopo l’8 settembre 1943 si impegnò nella Resistenza con il nome di battaglia di “Lice”, entrando a far parte della 4^ brigata SAP (Squadre di Azione Patriottica) di Torino fin dal dicembre 1943. Per il suo impegno nell’organizzazione dei grandi scioperi del marzo 1944, venne arrestato il 4 marzo e detenuto in un primo tempo alle carceri Nuove di Torino. Due giorni dopo, il 6 marzo, venne consegnato al Comando tedesco di Torino, che ne decise il trasferimento al campo di Fossoli e la successiva deportazione al campo di concentramento di Mauthausen, dove arrivò l’11 marzo 1944. Al suo arrivo venne immatricolato con il numero 57401. Dichiarò il mestiere di operaio e venne classificato come “Schutz” (prigioniero per motivi politici). In seguito venne trasferito a Ebensee-Zement, sottocampo di Mauthausen.

Felice morì a Ebensee il 10 giugno 1944.

Abramo nacque a Chivasso (Torino), il 9 luglio 1920 da Adolfo Segre ed Ernesta Sacerdote. Sua sorella era Rosa Segre. Frequentò la scuola a Torino in Via Duchessa Jolanda 27 bis. In quanto ebreo, subì la persecuzione di nazisti e fascisti. Denunciato da un debitore della ditta presso la quale Abramo lavorava come contabile, venne arrestato insieme alla sorella Rosa il 25 ottobre 1943 da tedeschi a Chivasso. Venne poi imprigionato nel carcere Le Nuove di Torino. Da Torino subì un trasferimento nel carcere di Milano. Il 6 dicembre 1943, al binario 21 della stazione Centrale di Milano, fu caricato con la madre e la sorella sul treno che l’avrebbe portato ad Auschwitz. Qui venne registrato con la matricola 168019. Morì nel febbraio 1945 in luogo ignoto.

Rosa nacque a Chivasso il 2 settembre 1922. Figlia di Adolfo Segre e di Ernesta Sacerdote. Fu la sorella minore di Abramo. Frequentò la scuola in Via Duchessa Jolanda 27 bis. Nel 1938, in quanto ebrea e come conseguenza dell’emanazione delle leggi razziali, fu espulsa dalla scuola e non poté proseguire gli studi. Il 25 ottobre 1943 venne arrestata a Chivasso con il fratello da tedeschi. Dopo essere stata imprigionata al carcere Le Nuove, venne condotta al carcere di Milano. Dal binario 21 della Stazione Centrale di Milano partì con destinazione Auschwitz il 6 dicembre 1943. Con lei furono deportati il fratello e la madre. La sua immatricolazione è dubbia. Fu assassinata ad Auschwitz in data ignota.

Ugo Segre nacque a Torino il 18 novembre 1892 da Pacifico e Ernestina Segre. Sposato con Iolanda Momigliano, abitava con la famiglia al numero 50 di corso Dante Alighieri (attuale numero 90) a Torino.

Ebreo, 3 dicembre 1943 venne arrestato a Varese da italiani. Detenuto in un primo tempo presso le carceri di Varese, quindi alle carceri Nuove di Torino, venne in seguito trasferito al campo di Fossoli. Fu deportato ad Auschwitz con il trasporto partito da Fossoli il 22 febbraio 1944.

Ugo non superò la selezione iniziale, e venne ucciso il giorno del suo arrivo a Auschwitz, il 26 febbraio 1944.

Tullio Segre nacque a Torino il 1 giugno 1924 da Ugo e Iolanda Momigliano. Abitava con la famiglia al numero 50 di corso Dante Alighieri (attuale numero 90) a Torino.

Ebreo, il 3 dicembre 1943 venne arrestato a Varese da italiani. Detenuto in un primo tempo presso le carceri di Varese, quindi alle carceri Nuove di Torino, venne in seguito trasferito al campo di Fossoli. Venne deportato ad Auschwitz con il trasporto partito da Fossoli il 22 febbraio 1944. Al suo arrivo il 26 febbraio seguente superò la selezione iniziale e venne immatricolato col numero 174547.

Tullio morì in prigionia in un luogo ignoto in una data successiva al 21 aprile 1944.

Iolanda Momigliano nacque a Torino il 2 agosto 1902 da Aronne e Alice Sacerdote. Sposata con Ugo Segre, abitava con la famiglia al numero 50 di corso Dante Alighieri (attuale numero 90) a Torino.

Ebrea, il 3 dicembre 1943 venne arrestata a Varese da italiani. Detenuta in un primo tempo presso le carceri di Varese, quindi alle carceri Nuove di Torino, venne in seguito trasferita al campo di Fossoli. Venne deportata ad Auschwitz con il trasporto partito da Fossoli il 22 febbraio 1944.

Iolanda non superò la selezione iniziale, e venne uccisa il giorno del suo arrivo a Auschwitz, il 26 febbraio 1944.

Silvio Segre nacque a Settimo Torinese il 5 settembre 1904 da Augusto e Leonilda Momigliano. Silvio abitava a Torino al numero 15 di piazza Carlina (piazza Carlo Emanuele II) a Torino.

Ebreo, il 27 ottobre 1943 venne arrestato da tedeschi. Detenuto in un primo tempo presso le Nuove di Torino, venne in seguito trasferito nelle carceri di Milano. Fu deportato ad Auschwitz con il trasporto partito da Milano il 6 dicembre 1943. Venne immatricolato col numero 168021. Al momento della liberazione del campo di Auschiwitz (27 gennaio 1945) non si trovava più nel campo, ma era stato trasferito nel campo di concentramento di Dachau, dove era stato immatricolato col numero 127167.

Silvio morì a Dachau il 15 marzo 1945.

Salvatore Segre nacque ad Asti il 31 ottobre 1897, figlio di Leone e Annetta. Coniugato con Treves Eugenia abitava in via Principe Tommaso 18 a Torino, dove esercitava la professione di rappresentante di commercio.

Dopo l’8 settembre 1943 riparò nell’astigiano con la famiglia per tornare a Torino con il figlio Alberto e prendere contatto coi Gap torinesi e coi nuclei partigiani della Val di Susa. A causa del tradimento di un fascista infiltrato il 17 dicembre 1943 venne arrestato a Torino da reparti tedeschi e detenuto presso il carcere Le Nuove di Torino. Deportato con il primo convoglio costituito alle carceri torinesi, giunse a Mauthausen il 14 gennaio 1944. Registrato con il numero di matricola 42313, venne classificato con la categoria Jude.

Trasferito nel sottocampo di Melk, morì poi nel sottocampo di Ebensee durante l’evacuazione del campo, il 5 maggio 1945.

Alberto Segre nacque il 24 novembre 1925 a Torino, figlio di Salvatore e Linda Cases, con i quali abitava a Torino in via Principe Tommaso 18.

Dopo l’8 settembre 1943, in un primo momento si nascose insieme alla famiglia nell’astigiano, per poi tornare poco dopo a Torino con suo padre e prendere contatti con i GAP (Gruppi di azione patriottica) torinesi e le formazioni partigiane della Val di Susa. In seguito al tradimento di un fascista infiltrato, fu arrestato da reparti tedeschi insieme a suo padre il 17 dicembre 1943 e detenuto presso Le Nuove di Torino. Deportato a Mauthausen per motivi politici con un convoglio partito da Torino il 21 febbraio 1944, venne immatricolato con il numero 42312 e classificato con la categoria “Jude”. Trasferito a Melk, sottocampo di Mauthausen, viene poi separato dal padre al momento dell’evacuazione del campo e condotto nel Revier (infermeria) di Mauthausen.

Alberto morì fra il 2 e il 3 aprile 1945.

 

Leone Sinigaglia nacque a Torino il 14 agosto 1868 da Abramo e Emilia Romanelli. Abitava in strada dei Ronchi 79 a Cavoretto presso Torino.

Musicista, compositore e studioso, è ricordato per le sue composizioni di musica sinfonica di successo internazionale e per la sua raccolta con arrangiamenti delle Canzoni popolari del Piemonte. In quanto ebreo, con l’occupazione nazista dell’Italia seguita all’8 settembre 1943 si trovò a doversi nascondere per sfuggire all’arresto e alla deportazione, mentre la villa di famiglia di Cavoretto e le altre proprietà furono requisite dalle autorità fasciste. Il suo ultimo rifugio fu l’Ospedale Mauriziano Umberto I di Torino, dove grazie alla collaborazione di medici e personale era stato ricoverato sotto falsa identità insieme alla sorella Alina. In quella sede, il 16 maggio 1944, probabilmente a causa di una delazione, si presentarono i tedeschi per arrestare i due fratelli. Nella concitazione del momento, Leone fu colpito da un attacco cardiaco e morì, mentre la sorella Alina, che riuscì fortunosamente a sfuggire alla cattura, gli sopravvisse meno di un mese, fino al 6 giugno 1944.

Leone è ricordato da una Pietra d’Inciampo in piazza Bodoni a Torino, presso il Conservatorio “Giuseppe Verdi” dove studiò.

Vittorio Staccione nacque il 9 aprile 1904 a Torino nel quartiere Madonna di Campagna. Appassionato di calcio, giocò in diverse squadre importanti a livello nazionale (tra le quali Torino, Fiorentina e Cremonese). Vinse con il Torino lo scudetto nel 1926/1927. A Firenze conobbe Giulia Vannetti che sposò nel 1928. La donna, rimasta incinta, morì di parto insieme con la bambina, evento che segnò fortemente Vittorio. Tornato a Torino, lavorò come operaio alla Grandi Motori Navali Fiat. Antifascista sin dalla giovinezza, era noto alle autorità per la sua attività politica. In nome dei suoi ideali, partecipò agli scioperi del marzo 1944 e fu arrestato il 12 marzo. Condotto a Bergamo, il suo convoglio passò da Verona, Tarvisio, Villach. Arrivò a Mauthausen il 20 marzo 1944. Nel campo di concentramento austriaco dichiarò la professione di tornitore e fu classificato con la categoria Schutz. Il suo numero di matricola era 59160. Trasferito nel sottocampo di Gusen, il 16 marzo 1945 morì per i postumi di una ferita alla gamba, causata dalle percosse. Il fratello Francesco conobbe la medesima sorte: deportato a Mauthausen, morì il 27 marzo del 1945.

Nato a Torino il 14 novembre 1894 in viale Madonna di Campagna 4, nel 1925 si trasferì in via Nole 64 e, successivamente, nel 1928, in via Borgaro 52, quindi l’anno dopo in via San Pancrazio 16, nel retro dello stabile che ospitava il commissariato di Polizia dove fu condotto dopo l’arresto del marzo 1944. Infine si trasferì in via Pianezza 10, la sua ultima residenza liberamente scelta.
Francesco aveva due fratelli, Vittorio ed Eugenio, entrambi calciatori militanti anche nella squadra del Torino degli anni ’20. Vittorio giocò anche nella Fiorentina e nella Cremonese, fu antifascista fin dalla giovinezza, partecipò agli scioperi del 1944 e fu deportato a Mauthausen.
Francesco svolse il servizio militare prima nell’84° reggimento di fanteria Venezia dal 13 novembre 1914 e poi nel 92° reggimento fanteria Basilicata. Essendo un operaio specializzato non partecipò alla prima guerra mondiale direttamente al fronte ma come soldato fu impiegato in una delle fabbriche torinesi convertite alla produzione bellica. Sposò Giovanna Martoia il 6 settembre del 1925, che morì nel 1935. Lavorò come operaio tornitore in molte officine e fabbriche torinesi, fra le quali le Officine Grandi Motori Navali FIAT con sede in corso Vercelli.
Francesco fu arrestato più volte a partire dal 1912, all’età di 18 anni, per attività legate alla sua militanza nel partito socialista. Diversi arresti sono documentati nel 1920, e, successivamente all’instaurarsi della dittatura fascista, nel 1924, nel 1928, nel 1929 e nel 1930, ai quali seguirono alcuni periodi di detenzione. Mantenne i contatti con alcuni gruppi antifascisti organizzati in clandestinità, coordinò le attività di opposizione nelle fabbriche di Torino fino al 1940 e, in seguito, con le formazioni partigiane che si organizzarono dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943.
Partecipò all’organizzazione degli scioperi del primo marzo del 1944, avvenimento che causò il suo arresto il 5 marzo al rientro in fabbrica. Fu detenuto alle Carceri Nuove, dove gli fu assegnato il numero di matricola 5096 e in seguito venne consegnato alle SS il 6 marzo. Il giorno 8 fu deportato con il convoglio n. 32 dell’elenco Tibaldi che partì da Firenze e raccolse altre 597 persone a Fossoli e a Verona, giungendo a Mauthausen l’11 marzo. All’arrivo al campo di concentramento di Mauthausen fu classificato con la categoria Schutz (prigioniero politico); il 24 marzo fu trasferito nel sottocampo di Gusen. È segnalato un suo passaggio nel sottocampo di Steyr fino al 13 settembre del 1944, giorno in cui fu trasferito nell’infermeria (Revier) di Gusen, dove rimase fino al 22 settembre del 1944, presumibilmente per un infortunio sul lavoro. Dopo la sua uscita dal Revier, il 22 settembre, ritornò nel sottocampo di Gusen, fino all’8 novembre del 1944. quando fu di nuovo ricoverato nel Revier di Gusen. Dopo questa data non si hanno più notizie su Francesco Staccione fino alla data del 27 marzo del 1945, quando fu documentata la sua morte per "debolezza del miocardio e decadimento corporeo generale", come risulta dal Servizio Internazionale Ricerche della Croce Rossa.

Carlo Stratta nacque a Torino il 16 novembre 1911 da Ignazio e Lucia Sina. Sposato con Camilla Fusano, abitava con la famiglia in corso Racconigi 196 a Torino.

Di professione magazziniere presso la fabbrica SPA di Torino, e dopo l’8 settembre 1943 si impegnò personalmente nella Resistenza con il nome di battaglia di “Nani”, entrando a far parte della 4^ brigata SAP (Squadre di Azione Patriottica) di Torino fin dal gennaio 1944. Per il suo impegno nell’organizzazione dei grandi scioperi del marzo 1944, venne arrestato il 4 marzo e detenuto in un primo tempo alle carceri Nuove di Torino. Due giorni dopo, il 6 marzo, venne consegnato al Comando tedesco di Torino, che ne decise la deportazione al campo di concentramento di Mauthausen, dove arrivò l’11 dello stesso mese. Al suo arrivo venne immatricolato, e in seguito trasferito ad Harteim, sottocampo di Mauthausen.

Carlo morì a Harteim il 13 novembre 1944.

Michele Tabor nacque a Mondovì il 1 settembre 1886 da Paolo e Antonia Ivaldi. Sposato con Felicita Mollo, viveva con la famiglia presso l’attuale via Martorelli 100 a Torino.

Operaio presso le Ferriere Fiat, era membro della 7^ brigata SAP De Angeli col nome di battaglia di “Leo” e ebbe un ruolo negli scioperi del marzo 1944. Per questo motivo venne arrestato in una retata a Torino il 4 marzo e deportato a Mauthausen l’11 marzo dello stesso anno. Nel campo Michele fu immatricolato col numero 57422 e classificato nella categoria “Schutz” (prigioniero per motivi politici). Dichiarò il mestiere di fonditore. Venne in seguito trasferito nei sottocampi di Gusen e di Ebensee.

Michele morì a Ebensee il 27 giugno 1944. Il suo nome è ricordato sulla lapide aziendale un tempo posta presso le Ferriere Fiat e ora conservata presso il Museo Diffuso della Resistenza di Torino.

Giacomo Tedeschi nacque a Torino il 12 luglio 1892 da Giuseppe e Pia. Giacomo abitava in via San Francesco da Paola 15 a Torino.

Ebreo, il 25 febbraio 1944 venne arrestato da forze armate italiane. Detenuto in un primo tempo presso le carceri Nuove di Torino, venne in seguito trasferito al campo di Fossoli. Fu deportato ad Auschwitz con il trasporto partito da Fossoli il 5 aprile 1944. Non abbiamo notizie certe sulla sorte di Giacomo al suo arrivo al campo, ovvero se fu ucciso subito col gas oppure se venne immatricolato e avviato al lavoro forzato.

Giacomo morì in prigionia in un luogo sconosciuto e in una data ignota.

Natalia nacque il 19 giugno 1922 a Genova, figlia di Marco e Bice Sacerdote. L’ultima sua residenza fu a Torino. In quanto ebrea, fu arrestata il 28 marzo 1944 a Casteldelfino (CN) dai tedeschi. Fu detenuta a Venasca e poi nel carcere Le Nuove di Torino. Fu quindi deportata al campo di Fossoli e da qui fu trasferita ad Auschwitz il 16 maggio 1944. Condotta al campo di Theresienstadt, sopravvisse alla liberazione del campo e fu liberata il 9 maggio 1945. Durante la sua vita si è impegnata in un’opera di costante testimonianza nelle scuole. È mancata nel 2003.

Vittorio nacque il 28 luglio 1915 a Vercelli. Era figlio di Marco e di Bice Sacerdote. Arrestato il 27 gennaio 1944 dai tedeschi a Fossano (CN), fu trattenuto al carcere Le Nuove di Torino e poi deportato al campo di Fossoli. Da qui fu trasferito ad Auschwitz il 5 aprile 1944. Fu assassinato il 25 aprile 1945 a Mauthausen, pochi giorni prima della liberazione del campo.

Luciano Treves nacque a Napoli il 28 settembre 1920, figlio di Jona Leone e Foa Venturina Colomba. Di professione contabile, abitava in via Campana 18 bis a Torino.

Insieme al fratello Renato fece parte della Resistenza aderendo fin dal 12 settembre 1943 al gruppo SAP (Squadra di azione patriottica) che sarebbe stato intitolato a Giambone. Arrestato a Torino il 9 dicembre 1943 da reparti tedeschi, fu detenuto presso Le Nuove di Torino per accuse di natura politica. Deportato con un convoglio partito da Milano, giunse a Mauthausen il 14 gennaio 1944: gli fu assegnato il numero di matricola 42314 e venne classificato sotto la categoria “Jude”.

Trasferito a Melk, sottocampo di Mauthausen, Luciano morì il 25 aprile 1945 durante l’evacuazione del campo.

 

Renato Treves nacque ad Alessandria il 12 luglio 1923, figlio di Jona Leone e Venturina Colomba Foa. Abitava a Torino in via Campana 18 bis.

Insieme al fratello Luciano fece parte della Resistenza aderendo fin dal 12 settembre 1943 al gruppo SAP (Squadra di azione patriottica) che sarebbe stato intitolato a Giambone. Arrestato a Torino il 9 dicembre 1943 da reparti tedeschi, fu detenuto presso Le Nuove di Torino e deportato con un convoglio partito da Milano che giunse a Mauthausen il 14 gennaio 1944. All’arrivo gli fu assegnato il numero di matricola 42315, fu classificato sotto la categoria “Jude” e come mestiere dichiarò di essere rappresentante. Venne poi più volte trasferito nei sottocampi di Mauthausen, prima a Solvay-Ebensee e in seguito a Wels II.

La morte di Renato fu registrata il 12 aprile 1945 a Gunskirchen o Wels, anche questi sottocampi di Mauthausen.

 

Giovanni Antonio Vacca nacque a Ovodda (NU) il 22 gennaio 1897. Trasferitosi a Torino, abitava in piazza Peyron 13.

Avvocato, impegnato nella Resistenza, venne arrestato il 12 agosto 1944 mentre tentava di far liberare alcuni detenuti politici. Venne deportato a Dachau il 5 ottobre 1944, dove venne immatricolato col numero 113596 e classificato nella categoria “Schutz” (prigioniero per motivi politici). Dichiarò il mestiere di avvocato. In seguito, venne trasferito nei campi di Natzweiler, Sachsenhausen e infine Buchenwald, dove venne nuovamente immatricolato col numero 31168 e classificato nella catagoria “Pol” (prigioniero per motivi politici).


Giovanni Antonio morì a Buchenwald dopo il 6 febbraio 1945.

Ernesto Valabrega nacque a Torino il 21 gennaio 1901 da Vittorio e Enrichetta Lattes. Sposato con Tranquilla Momigliano, viveva con la famiglia in corso Massimo d’Azeglio 23 a Torino.

Dopo essersi laureato in ingegneria elettrotecnica nel 1923, Ernesto affiancò il padre nella gestione della fabbrica di mobili Valabrega. Nonostante la sua iscrizione al Partito fascista risalisse al 1932, in quanto ebreo fu colpito dalle leggi razziali del 1938, che portarono anche alla sua espulsione dal partito. In seguito, nel 1944, il mobilificio cambiò nome da “V. Valabrega” a “Mobilart”. Dopo l’occupazione tedesca seguita all’armistizio dell’8 settembre 1943, la famiglia Valabrega si rifugiò a Biella presso una zia di Tranquilla per sfuggire alle persecuzioni razziali. Ciononostante, Ernesto continuava il suo impegno presso la fabbrica torinese per salvaguardare la produzione di mobili e il lavoro degli operai. A causa di una delazione, Ernesto venne arrestato presso la fabbrica il 24 marzo 1944 da italiani. Detenuto in un primo tempo presso le Nuove di Torino, venne quindi trasferito al campo di Fossoli. Fu deportato ad Auschwitz con un convoglio partito da Fossoli il 5 aprile 1944 e al suo arrivo venne immatricolato. In un momento successivo venne spostato verso Ovest, nella zona di Monaco di Baviera.

Ernesto morì il 31 ottobre 1944 nel campo di Kaufering IV, sottocampo di Dachau.

Evelina Valabrega nacque a Torino il 17 marzo 1907 da Pacifico Valabrega e Ida Moresco. Sposata con Salvatore Jachia, perse il marito a causa di un attacco cardiaco il 13 febbraio 1942. Di origine ebraica, viveva a Torino in via Baretti 31 al 3° piano, in affitto, con i quattro figli, Pasqua Jachia (1932), Anselmo Jachia (1934), Ercole Jachia (1936), Ida Jachia (1937), il fratello Umberto Valabrega (1914) e la mamma Ida Moresco (1877). Di professione casalinga, aveva lavorato come cameriera a ore. Preziose informazioni inerenti la vicenda di deportazione della famiglia Valabrega-Jachia, di seguito riportate, provengono dalla sezione “Le Vite” nell’ambito del progetto Le case e le cose. Le leggi razziali del 1938 e la proprietà privata, a cura di Daniela Levi e Eva Vitali Norsa.

Evelina abbandonò Torino e giunse a Montagnana, in provincia di Padova, il 13 dicembre 1943, insieme ai figli, alla mamma ed al fratello; la famiglia si stabilì in via Decima 3. Il 20 dicembre 1943 la questura di Padova venne informata della presenza della famiglia Valabrega-Jachia in Montagnana dalla legione territoriale dei carabinieri. Nella notte tra il 23 e il 24 dicembre 1943 la Guardia Nazionale Repubblicana arrestò l’intero nucleo familiare i cui componenti vennero trasferiti a Vo’ Vecchio nella Villa Contarini Giovanelli Venier, un edificio settecentesco sequestrato dalla Repubblica Sociale Italiana e trasformato in campo di concentramento per le province di Padova e Rovigo per rispondere all’ordinanza n.5 del 30 novembre 1943. La villa era di proprietà del commerciante Sirio Landini, il quale l’aveva concessa in affitto alle suore elisabettine; queste durante la conversione a campo di concentramento ne gestirono le cucine, mentre la direzione venne affidata alla polizia italiana. Il luogo, utilizzato come campo per sette mesi, venne smantellato nel luglio del 1944 e, il 17 dello stesso mese, i 47 presenti vennero trasferiti dai tedeschi a Padova, dopo essere stati spogliati di tutti i loro preziosi; donne e bambini vennero detenuti presso il carcere dei Paolotti mentre gli uomini  presso la casa di pena di piazza Castello. Dopo due giorni i prigionieri furono trasferiti nella Risiera di San Sabba da due camion, uno per le donne e i bambini ed uno per gli uomini.

Il 31 luglio 1944 i prigionieri vennero caricati sul trasporto 33T, secondo la numerazione fornita ne Il libro della memoria. Gli ebrei deportati dall’Italia (1943-1945) di Liliana Picciotto, diretto ad Auschwitz, dove giunse il 3 agosto 1944. Nel libro di Italo Tibaldi Compagni di viaggio. Dall’Italia ai lager nazisti. I “trasporti” dei deportati 1943-45, il trasporto viene indicato con il n.66; risultano identificati 71 deportati, 7 dei quali sopravvissuti al momento della liberazione. Agli uomini vennero assegnati i numeri da A-19952 ad A-19961 e da 190708 a 190713; alle donne i numeri da A-16450 ad A-16456 e da 82910 a 82980. Dei 47 presenti a villa Contarini Giovanelli Venier sopravvissero in 3.

Persistono dubbi sull’immatricolazione di Evelina Valabrega, ella risulta deceduta in luogo ed in data ignoti.

 

Umberto Valabrega nacque il 16 luglio 1914 in via Ormea n. 15 a Torino da Pacifico Valabrega e Ida Moresco. Di origine ebraica, era fratello di Margherita Valabrega (1903), Elena Valabrega (1905), Evelina Valabrega (1907) e Vittorio Valabrega (1910). Umberto aveva lavorato come fattorino ma nel 1943 era disoccupato e viveva in un modesto appartamento. Consultando il fascicolo relativo alla sorella Evelina Valabrega, redatto dall’EGELI (Ente gestione e liquidazione immobiliare istituito con l’emanazione delle leggi razziali del 1938) che si occupava della gestione e successiva liquidazione dei beni ebraici, è stato possibile comprendere quale fosse la situazione della famiglia nel 1943. Umberto viveva in affitto a Torino in Via Baretti 31 al terzo piano di un appartamento di ringhiera insieme alla madre Ida Moresco, alla sorella Evelina e ai nipoti Pasqua Jachia (1932), Anselmo Jachia (1934), Ercole Jachia (1936) e Ida Jachia (1937).  Le vicende inerenti la deportazione di Umberto Valabrega sono strettamente legate a quelle della propria famiglia. Numerose informazioni sono infatti fornite grazie ad una ricerca effettuata da Daniela Levi e Eva Vitali Norsa, i cui risultati sono reperibili all’interno della sezione “Le Vite” nell’ambito del progetto Le case e le cose. Le leggi razziali del 1938 e la proprietà privata. Abbandonata Torino, il 13 dicembre del 1943 la famiglia giunse a Montagnana, in provincia di Padova, andando ad abitare in Via Decima 3. Un documento datato 15 dicembre, redatto dal Podestà di Montagnana e indirizzato alla Prefettura di Padova, rileva la presenza del nucleo famigliare nel comune di Montagnana specificando che “la famiglia di ebrei sfollati da Torino non possiede né beni mobili né immobili e ha finora vissuto dei soccorsi corrisposti dalla Comunità israelitica di Padova”. Arrestato insieme al resto della famiglia tra il 23 e il 24 dicembre 1943 a Montagnana, dalla Guardia Nazionale Repubblicana, venne poi trasferito al campo di Vo’ Vecchio, nella Villa Contarini Giovanelli Venier. La villa, la cui costruzione risalirebbe alla fine del 1550, apparteneva al commerciante Sirio Landini che, nel 1943, la diede in affitto alle suore Elisabettiane di Padova. La stessa villa venne in seguito individuata e, nel dicembre del 43, trasformata in un campo di raccolta destinato per ebrei della provincia di Padova e di Rovigo. Dopo la trasformazione in campo di concentramento, le suore si occuparono della gestione delle cucine mentre l’amministrazione del centro ricadde nella competenza della polizia italiana. Per circa sette mesi la struttura venne quindi utilizzata come campo per poi essere smantellata nel mese di luglio del 1944. Il 17 luglio 1944 le 47 persone presenti nel campo, tra cui Umberto e la sua famiglia, vennero trasferite dai tedeschi a Padova. Un documento della locale Questura, dell’anno 1956, in riferimento agli eventi intercorsi in quella giornata, riferisce che “ufficiali e militari SS tedesche e del Comando Presidio Germanico di Este (Padova), circondarono e invasero il campo di concentramento predetto e imposero al direttore del campo di adunare tutti gli ebrei ivi internati. Quindi, tolti loro gli oggetti di valore e denaro, che furono messi in buste, firmate dagli interessati, i predetti militari li caricarono su autocarri…”. Donne e bambini vennero tradotti al carcere dei Paolotti di Padova mentre gli uomini alla casa di pena di Piazza Castello. Due giorni dopo, Umberto, insieme agli altri prigionieri, venne nuovamente trasferito. Caricati su due camion, vennero condotti alla Risiera di San Sabba. Partito il 31 luglio con un convoglio formato a Trieste, giunse ad Auschwitz il 3 agosto. Il convoglio, sul quale venne caricato, era il n. 33T (secondo la classificazione presente in Il libro della memoria. Gli ebrei deportati dall’Italia (1943-1945) di Liliana Picciotto. Nel libro di Italo Tibaldi “Compagni di viaggio. Dall’Italia ai lager nazisti. I “trasporti” dei deportati 1943-45”, il trasporto viene indicato con il n. 66. Di questo trasporto non si conosce il numero preciso dei deportati, considerando anche il fatto che ne vennero aggiunti altri durante la sosta fatta a Gorizia. Soltanto 71 nominativi sono stati identificati e solo 7 riuscirono a sopravvivere. L’immatricolazione di Umberto è dubbia così come ignoti restano data e luogo della sua morte. Dei 47 ebrei che si trovavano all’interno del campo di Vo’ Vecchio, soltanto tre sopravvissero alla deportazione.

 

Michele Valabrega nacque a Torino il 10 febbraio 1885, figlio di Anselmo e Stellina. Abitava a Torino in via Po 25 con la moglie Maria Irene Roscetti, con la quale ebbe quattro figli: Mario, Aldo, Gino e Stella.

Ebreo, il 5 dicembre 1943 venne arrestato insieme alla moglie e alla figlia Stella da forze armate fasciste repubblichine; venne detenuto presso Le Nuove di Torino e successivamente trasferito presso il campo di transito di Fossoli. Il 22 febbraio 1944 venne deportato ad Auschwitz con il convoglio n. 8, che giunse in Lager il 26 dello stesso mese (sullo stesso convoglio era stato deportato Primo Levi). Il trasporto viaggiava sotto la sigla RSHA. Secondo i documenti conservati nell’archivio del Museo di Auschwitz furono 95 gli uomini e 29 le donne che superarono la selezione iniziale (tra le quali la figlia di Michele Valabrega, Stella).

Michele non superò la selezione e fu tra coloro che furono uccisi all’arrivo ad Auschwitz il 26 febbraio 1944.

 

Maria Irene Roscetti nacque a Torino il 12 maggio 1892, figlia di Antero. Sposata con Michele Valabrega con il quale ebbe i figli Mario, Aldo, Gino e Stella, abitava a Torino in via Po 25.

Ebrea, venne arrestata il 5 dicembre 1943 da forze armate fasciste repubblichine insieme al marito e alla figlia Stella, venne detenuta presso Le Nuove di Torino e successivamente trasferita nel campo di Fossoli. Fu deportata il 22 febbraio 1944 con un trasporto che viaggiava sotto la sigla RSHA, e che arrivò a Auschwitz il 26 dello stesso mese. Il Centro di documentazione ebraica contemporanea (CDEC) ha identificato 489 deportati presenti sul convoglio, dei quali 23 sopravvissuti: si tratta per lo più di ebrei italiani e stranieri arrestati da agenti di Pubblica Sicurezza italiana in seguito all’ordine d’arresto datato 30 novembre 1943 del Ministro dell’Interno G. Buffarini Guidi. La figlia Stella fu tra i sopravvissuti.

Dopo l’arrivo a Auschwitz, non abbiamo notizie certe sull’immatricolazione di Maria Irene, e nemmeno sul luogo e sulla data della sua morte, che potrebbe essere avvenuta immediatamente all’arrivo oppure in seguito durante la prigionia.

 

Stella Valabrega nacque a Torino il 10 giugno del 1923 da Michele e Maria Irene Roscetti, che ebbero altri tre figli, Mario, Gino e Aldo. Abitava con la famiglia in via Po 25 a Torino.

Stella conobbe le drammatiche limitazioni ai suoi diritti fondamentali già a partire dalle leggi razziali del 1938, e dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, all’età di 20 anni, fu arrestata a Torino insieme ai genitori il 5 dicembre 1943. Prelevati dai repubblichini fascisti, furono trasferiti alle carceri Nuove di Torino dove restarono fino al 17 gennaio del 1944. Il 22 febbraio 1944 Stella fu deportata da Fossoli sul convoglio sul quale si trovava anche Primo Levi, e giunse il 26 dello stesso mese nel campo di sterminio di Auschwitz: qui fu immatricolata con il numero 75697 (ad Auschwitz il numero veniva tatuato sul braccio degli häftling – detenuti – durante le fasi di registrazione dei prigionieri). Stella rimase internata ad Auschwitz fino al 30 dicembre del 1944.

Nel gennaio del 1945 venne coinvolta in una delle terribili “marce della morte” (marce forzate finalizzate a spostare verso occidente i prigionieri in territori ancora non minacciati dall’avanzata dell’esercito sovietico) che la condusse al campo di concentramento di Bergen Belsen. Il lager venne liberato il 15 aprile del 1945 dai soldati britannici.

Sopravvissuta, a partire dal 20 aprile Stella venne curata prima ad Amburgo e successivamente in Svezia dalla Croce Rossa, che si occupava di dare un primo soccorso ai sopravvissuti.  Dopo un ennesimo lungo viaggio, Stella venne rimpatriata in Italia il 7 settembre del 1945. Nei primi anni dopo il ritorno in Italia, Stella visse a Biella e a Torino, rispettivamente a casa dei fratelli Gino e Aldo. Nel 1950 sposò a Torino Giuseppe Duretti con il quale ebbe due figli: Mariella e Roberto. Morì a Chivasso, dove trascorse gli ultimi anni della sua vita, il 9 ottobre del 1978.

 

Orazio Viana nacque a Torino il 21 maggio del 1914 da Francesco e Maddalena Viana. Dopo le scuole elementari studiò da litografo, avviandosi poi alla professione: presumibilmente lavorò come tipografo fino all’età di 26 anni. La sua ultima residenza nei pressi del centro nel quartiere Vanchiglia, fu in via Bava 43.
Con l’entrata in guerra dell’Italia, il 10 giugno del 1940, Orazio si arruolò nei reparti di fanteria del distretto militare di Torino anche se non si hanno notizie dirette sulla sua partecipazione e dei luoghi di dislocazione.
Dopo la firma dell’Armistizio da parte dell’Italia, il 9 settembre si unì a una brigata in Val di Susa diventandone vice comandante, compiendo alcune azioni di sabotaggio contro i nazisti con la banda Felice Cima. L’8 gennaio del 1944, sopra Condove in borgata Sigliodo, fu catturato con altri sei partigiani mentre rientrava nella baita utilizzata come base. Dalla testimonianza di Pettigiani, un compagno sopravvissuto, emerge come il gruppo avesse cercato di resistere serrandosi nella baita, ma successivamente avesse dovuto arrendersi quando i soldati tedeschi avevano appiccato il fuoco all’edificio. Dopo la cattura venne portato presso la Casa del Fascio di Borgone, all’epoca funzionante come caserma, dove venne rinchiuso per alcuni giorni nelle cantine.
L’11 gennaio del 1944 le SS trasferirono i prigionieri a Torino. In quell’occasione, don Francesco Foglia, soprannominato Don Dinamite per la dimestichezza con gli esplosivi, appartenente alla stessa formazione di Orazio, cercò di attuare un piano per liberarli, appostandosi con altri compagni lungo la statale che portava a Torino, convinto che le SS avrebbero trasferito i prigionieri con una camionetta, ma non riuscì nell’impresa in quanto i tedeschi cambiarono programma utilizzando il treno. All’arrivo a Torino, Orazio fu portato all’Albergo Nazionale, sede della Gestapo, dove rimase per parecchi giorni per essere interrogato e torturato. Successivamente fu rinchiuso in una delle celle del terzo braccio del carcere Le Nuove, riservata ai prigionieri politici in attesa di conoscere il proprio destino, di deportazione o condanna a morte.
Il 18 febbraio del 1944, all’alba, Orazio fu caricato su un camion dalle SS e condotto alla stazione di Porta Nuova insieme ad altri 68 prigionieri politici. I detenuti furono fatti salire sull’ultimo carro di un treno merci, composto da sei vagoni da trasporto e una vettura in testa, il convoglio n. 25 secondo la numerazione data da Tibaldi, diretto al KL di Mauthausen. Dopo la partenza alcuni compagni di Orazio progettarono di evadere schiodando delle assi dal pavimento con un pezzo di ferro rubato nelle carceri di Torino da Terenzio Magliano; la maggior parte dei prigionieri fu però contraria, temendo le rappresaglie dei tedeschi, e dunque il piano non fu messo in atto. Durante la sosta a Milano fu aggiunto un vagone per 54 detenuti politici provenienti dal carcere di San Vittore. Il 21 febbraio del 1944, dopo quattro giorni dalla partenza, Orazio e gli altri prigionieri arrivarono alla stazione di Mauthausen. A Orazio fu assegnato il numero di matricola 53464 e fu classificato come Schutzhäftling (prigioniero politico).
La testimonianza di Ferruccio Maruffi, superstite del campo di concentramento di Mauthausen, descriveva Viana come spirito indomito che suscitava stupore nonostante le precarie condizioni di salute. Lo stesso definiva Orazio un “uomo tranquillo” ma in grado di esprimere un’idea di forza e di libertà. I due ebbero modo di discutere delle giornate più tristi e difficili, delle imprese partigiane, della famiglia, degli amici, della vita prima della guerra, condividendo attimi di umanità e cercando di immaginare il proprio futuro una volta usciti dal lager. Viana morì il 4 febbraio del 1945 a Gusen, sottocampo del lager.

Giovanni Vittone nacque a Torino il 30 aprile 1909 da Luigi Vittone e Caterina Embargo. Dalla documentazione emerge l’adesione clandestina al comunismo: per questo motivo fu confinato a Stigliano, in provincia di Matera, nel 1940; fu quindi arrestato per aver trasgredito alle regole del confinamento e poi rilasciato. Dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, con la nascita della Repubblica Sociale Italiana, aderì al movimento partigiano nelle Brigate Garibaldi con il nome di battaglia di Giuvanin Amilcare.
Fu arrestato il 25 maggio 1944 presso la sua abitazione di corso Vercelli 121. Come molti oppositori politici, fu deportato, presumibilmente tramite pullman, al campo di Bolzano. Da qui il 5 settembre 1944 fu trasferito al campo di Flossenbürg dove arrivò il 7 settembre (trasporto 81 secondo la numerazione di Italo Tibaldi). Si stima che il convoglio trasportasse 1459 persone, di cui 24 da Torino.
A Giovanni fu attribuita la matricola 21823 e fu classificato come Schutz (prigioniero per motivi politici). Il 7 ottobre dello stesso anno fu trasferito al campo di Augsburg (Dachau), probabilmente per esigenze di organizzazione e per il bisogno di operai specializzati nella realizzazione di prodotti bellici. Vi arrivò il giorno 19 e fu immatricolato con il numero 117067; fu registrato come attrezzista e meccanico di precisione. Morì nell’aprile del 1945 a Kaufering, sottocampo di Dachau.

Gino Voghera nacque a Padova il 24 maggio 1889 da Benedetto Salvatore e Anna Salom. Sposato con Gaetana Nejrotti, abitava con la famiglia al 31 di corso Oporto (l’attuale corso Matteotti) a Torino.

Ebreo, venne arrestato a Torino il 18 marzo 1944. Detenuto alle Nuove di Torino, Gino fu quindi trasferito a Fossoli. Il 2 agosto 1944, venne infine deportato da Verona su un convoglio diretto a Auschwitz, dove arrivò il 6 agosto 1944.

Non abbiamo notizie certe sul suo destino una volta arrivato al campo: se sia stato selezionato per la camera a gas oppure se sia stato immatricolato e sia morto in seguito. Gino morì in prigionia in luogo ignoto in una data sconosciuta.

Lina Letizia Zargani nacque a Livorno il 26 maggio 1892, figlia di Eugenio e Ventura Ottavia. Sposata con Rino Poggetto, abitava a Torino in Corso Cairoli 32.

Dopo aver lasciato la città, in quanto ebrea fu arrestata dalle SS a Ronco Biellese (VC) in seguito a una delazione anonima. Detenuta presso le carceri Nuove di Torino, fu trasferita nelle carceri di San Vittore di Milano e quindi deportata ad Auschwitz. Il convoglio composto a Milano e poi a Verona il 6 dicembre 1943 giunse in Lager l’11 dicembre successivo e viaggiava sotto la sigla RSHA. Durante il tragitto, il trasporto venne unito al convoglio 21T proveniente da Trieste. Secondo la documentazione conservata nell’archivio del Museo di Auschwitz, in totale vennero immessi nel campo 61 uomini e 35 donne. Mancando la lista di trasporto non si conosce il numero esatto dei deportati: al momento attuale ne sono stati identificati dal Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea 246, dei quali solo 5 sono i reduci.

Certo è l’arrivo a Auschwitz, mentre l’immatricolazione di Lina e il luogo e la data della sua morte (che avvenne in prigionia) restano sconosciuti.

La data di morte è incisa sulla pietra per volontà del richiedente, sulla base di ricordi personali.

 

 


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